Cana: gioia oltre misura

Sposalizio: gioia sfrenata

Il Vangelo di Giovanni, al secondo capitolo, s’apre con uno sposalizio. Un matrimonio, in generale, è motivo di gioia. A maggior ragione, nel Medio Oriente Antico, in cui tali festeggiamenti rappresentavano qualcosa di atteso, sfrenato, che doveva rispettare precise regole (scritte e non scritte), affinché potesse essere considerato un successo propriamente detto, lasciando soddisfatti gli ospiti, come trapela dal testo stesso. Il matrimonio è talmente importante per Israele che il sommo sacerdote non sposato non poteva presiedere la liturgia del giorno di «Yom Kippùr»; non solo: il matrimonio è considerato persino più rilevante della sicurezza, dal momento che il giovane sposo era esentato anche dal servizio militare. Nel matrimonio, più precisamente, nell’unione carnale tra i due, gli sposi diventano “immagine di Dio”.

Gesù, invitato

Nell’Antico Testamento, si sprecano le immagini che rimandano a Dio come sposo e al popolo d’Israele come sposa, spesso (particolarmente: nel libro di Osea) infedele. La relazione matrimoniale, tra le sue difficoltà e potenzialità, è stata vista, nella teologia giudaica come esempio della relazione di Dio con l’uomo. In questo episodio, però, abbiamo più che un’immagine. Perché non è una parabola, o un’altra immagine narrativa, cui Cristo si è spesso affidato, in particolar modo, per parlare dell’avvento del regno di Dio. Si tratta di un evento, che ha tutta l’aria di essere realmente accaduto, verosimilmente, poco prima dell’inizio della predicazione di Gesù in Galilea: Gesù e sua madre1 sono invitati ad uno sposalizio, a Cana di Galilea – e vuoi che il rabbi non inviti anche i primi discepoli, che avevano mostrato interesse per lui, incoraggiati dalla predicazione del Battista2?

Gesù, sposo

Eppure, Gesù non può essere considerato solo un comune convitato. Basti pensare che, poco più in là nella narrazione3, il Battista si definirà come “amico dello Sposo”, che “gioisce per la voce dello Sposo”, lasciando dunque intendere che, se di sé, il Precursore, si può parlare in questi termini, lo Sposo non può che essere Gesù Cristo. Se la Prima Alleanza pullula di immagini sponsale, tra cui, non ultimo, l’intero Cantico dei Cantici, dove regna sovrano il desiderio reciproco dello sposo per la sposa, in una ricerca amorosa, che non rinuncia a connotarsi di sensualità e persino d’erotismo, tanto che a lungo ci si interrogò sull’appropriatezza dell’appartenenza di questo libro al canone4. In Cristo, l’immagine sponsale veterotestamentaria prende forma più precisa, assumendo le fattezze del figlio del carpentiere di Nazaret, che, durante questo evento, pare recalcitrante a concedere miracoli.

Una festa che langue

In un matrimonio, in cui si presuppone una festa sfrenata, condita non solo da cibo abbondante, ma, anche, da copiosa quantità di alcol a suo corredo, improvvisamente, emerge una mancanza. “Non hanno più vino” (Gv 2,3) nota Maria Vergine, con femminile accortezza, quasi presagendo il disagio e l’imbarazzo, per gli ospiti, di trovarsi di fronte a una simile carenza, che ne avrebbe irrimediabilmente macchiato il nome nei giorni e – forse – negli anni a venire come quelli che non avevano più vino, alla loro festa di nozze. Un’onta incancellabile. Uno sgarbo inenarrabile. Un’etichetta difficilissima da rimuovere, una volta che la si è ricevuta. “Quelli senza vino”: gli sprovveduti, gente inaffidabile, che non è in grado neppure di festeggiare “come Dio comanda”. Che imbarazzo: chi avrebbe sopportato anche solo di nominare il nome di gente incapace di comportarsi “a modo” nella situazione sociale per eccellenza?

“Donna”

Chiamare Maria “Donna” potrebbe far storcere il naso a più di qualcuno, lasciando supporre una sorta di mancanza di rispetto nei confronti della Vergine, in una forma di ribellione post-adolescenziale, in cui Cristo delimita i confini d’intervento materni. In realtà, in quest’appellativo, vi è attuata quasi una “universalizzazione”: innanzitutto, vi è un richiamo a Genesi 1, per cui Maria di Nazaret è vista, in contrapposizione ad Eva, la prima donna, come collaboratrice di primo piano all’opera redentrice di Cristo; inevitabile, in secondo luogo, che torni alla memoria l’immagine dell’apostolo Giovanni sotto la Croce, cui il rabbi di Galilea “consegna” la Madre5. Vista in quest’ottica, Maria, agli occhi di Gesù, alle nozze di Cana, è come se cessasse di essere sua madre, per acquisire la funzione unica che ricopre, in ordine alla salvezza: Madre di Dio e, per questo, Madre d’ogni uomo.

“Fate quello che vi dirà”

«Che a me e a te, Donna?»: così suona, anche se letteralmente cacofonica, la risposta di Cristo. Che potremmo accogliere come “Che c’è tra me e te?”, in quanto l’espressione utilizzata è presa in prestito dalla diplomazia: così si rivolgono tra loro due alleati. Eppure, nonostante il diniego («non è giunta la mia ora»6), Maria insiste, istruendo i servitori a fare secondo le indicazioni di Gesù. Quasi come se lei avesse intuito qualcosa, oltre le parole di Cristo. Un non detto. Che i tempi di Dio non sono i nostri, perché “i suoi pensieri non sono i nostri pensieri”7. Tuttavia, di fronte alla fede solida di un’insistenza amorevole, persino il progetto di Dio può subire una deviazione, un anticipo e “venirci incontro” un’altra volta.

Sovrabbondanza inattesa

Stava per mancare il vino. Arriva Cristo e ascoltarne la parola affidabile fa sì che, non solo non vi sia carenza, bensì un’abbondanza, inaudita ed inattesa (siamo ormai verso l fine della festa e il maestro di tavola, così come i convitati, si aspetterebbe, piuttosto, un progressivo scemare dei rifornimenti di cibo e bevande). Il miracolo delle idrie che, da ricolme d’acqua, sono trovate ricolme di vino è immagine della grazia, che sopraggiunge in questo modo: sovrabbondante ed inattesa. Sfugge la nostra comprensione, sfugge la nostra portata, sfugge le nostre capacità. La grazia ci raggiunge, ma fa di più: ci supera e ci sommerge. Perché, tante volte, è l’unica spiegazione per risultati che, umanamente, rimarrebbero del tutto inspiegabili.

La custodia del “bello”

«Ogni uomo serve prima il vino bello
e quando sono bevuti il più scadente.
Tu invece hai custodito il vino bello fino a questo momento»
(Gv 2, 10)

Più ancora della quantità, sorprendente è la qualità. Non solo il primo miracolo è – almeno apparentemente – inutile (davvero era indispensabile assicurare il vino ad una festa di nozze, più del pane a chi ha fame o della salute a chi è malato?). Ma è offerto vino di ottima qualità a gente ormai alticcia e, quindi – probabilmente – non in grado di apprezzare appieno la qualità del vino che è offerta loro. Un ulteriore – l’ennesimo – spreco: offrire vino buono a chi non lo sa apprezzare. Forse, però, può essere letto in altro modo, seguendo la logica del commento dell’ignaro maestro di tavola. Non soloDio è così generoso da offrire bontà a chi non è in grado di apprezzarla (quante volte non coltiviamo la gratitudine e rimaniamo insofferenti, quando non disgustati dai molti di Dio, di cui siamo circondati?). Dio è anche così amante della bellezza, da custodirla per offrirla quando ormai la speranza è ridotta al lumicino (a festa inoltrata, ci si rassegna che, al massimo, si potrà rimediare qualche avanzo, non certo un vino di qualità superiore a quello dei primi sorsi).

Signore della gioia

Anche a noi capita di rimanere “senza vino”. Accade ogni qualvolta contiamo solo sulle nostre forze. Vogliamo fare la volontà di Dio. Sì, ma a modo nostro. Ritagliamo a Dio il suo piccolo spazio, come a noi conviene… e non si azzardi a sconfinare. Il resto? È mio e lo gestisco io. È in questo modo che nascono le nostre frammentazioni, che, spesso, alla lunga, diventano causa di infelicità e di insoddisfazione. Perché il cuore dell’uomo è fatto per la grandezza, la bellezza, la maestosità e non si accontenta di cose piccole e “misurate”. Parafrasando il cardinale John Henry Newman, solo l’amore s-misurato di Dio, che l’ha creato, è “su misura” per la creatura umana!


Rif. Vangelo, nella II domenica dopo l’Epifania :

VANGELO Gv 2, 1-11

✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.


Fonte immagine: Pexels


Vedi anche:


1 L’assenza di ogni menzione, anche minima, a Giuseppe, il capofamiglia, ha sempre portato a pensare che, a quest’epoca, questi fosse ormai morto.

2 Se riprendiamo, infatti, la conclusione del capitolo precedente (Gv 1,35-51), notiamo come Giovanni, Andrea e, in seguito, Pietro e Filippo abbiano iniziato ad interessarsi all’insegnamento – e alla persona – di Gesù.

3 Cfr. Gv 3,29

4Ma non dimentichiamo che perplessità simili hanno accompagnato molti libri profetici e, soprattutto, quelli Apocalittici

5 Gv 19,25-27

6 Gv 2,4

7 Is 55,8

2 risposte

  1. Troppo lungo…non l’ho letto!
    “fate quello che vi dirà ” ascoltiamo la Santa Parola di Gesù nella semplicità del Vangelo e nel silenzio di Maria madre meravigliosa.

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