Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Vecchio ammaestramento d’Eraclito

L’assennato Eraclito ingabbiò la sua saggezza in un’espressione: “Panta rei”. Opportunità vorrebbe il suo ri-aggiornamento: “Panta rei veloce”. Perché tutto corre veloce oggi. Anche la comunicazione oggi. Corre così veloce che la Chiesa, in occasione della giornata delle comunicazioni sociali, la vede “tra protagonismo e servizio” (Messaggio del Papa per la 42° Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 4 maggio 2008). E’ certezza profumata di Vangelo che Pietro e compagnia bella sognavano di rimanere a fissare il cielo, come bambini a seguire la traiettoria degli aquiloni (At 1,11).

Ma l’ordine era chiaro: partire e annunziare. Cioè di rischiare in nome Suo. Andare: inizia l’avventura! Ardua, sempre più ardua. Un manipolo variopinto di umanità lanciata a conquistare il mondo con la Parola. Una stravaganza divenuta storia di salvezza, àncora di felicità, motivo di trepidazione. Andate! E’ più che un compito: una missione, una lotta, un martirio! Dovranno scendere nelle profondità dell’antico pozzo della memoria: è qui che l’orizzontalità della terra si fa apertura verticale e il cielo si affaccia con lo stupore di un bambino per cercarne le radici indovinandone l’essenziale.

Andate e comunicate: l’invito a gridare dai tetti ciò che s’è incanalato nelle orecchie. Comunicare, ovvero l’arte delicata di far passare l’emozione di uno sguardo, di un sospiro, di un gesto. Di un frammento di Vangelo! “Non abbiate paura! Spalancate le porte a Cristo!”: parole di un comunicatore innamorato venuto dall’est. Per troppo tempo come chiesa ci siamo chiesti come comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Ed elaborando la risposta – a volte servono due pontificati (meglio se decennali) – ci stiamo accorgendo che il mondo è già cambiato. Sotto i nostri occhi.

Della strategia comunicativa di Cristo cos’abbiam capito?

Scorrono gli anni, ma le prediche si fotocopiano. S’ingialliscono. Perdono la voce, il profumo, la potenza. Cristo si ri-aggiornava di notte pregando e collaudava di giorno ascoltando: parlava il linguaggio della gente. Partiva da loro: per arrivare in alto. Oggi partirebbe, forse, da un blog, magari scriverebbe un sms, un’email. Ci darebbe appuntamento nel suo sito internet, aprirebbe un forum, lascerebbe un podcast. Scriverebbe un murales, un graffito, una poesia. Certo: perché l’uomo era la sua passione. Conoscerlo il suo sogno. Amarlo l’investimento più azzardato.

Metterebbe in rete la sua umanità. Perché, dopo due millenni di tentativi, il sogno rimane lo stesso: pescare uomini. E attrezzare il loro cuore di gioia.

Magari nel mare di internet stavolta!

Il mare di Internet e le reti tristi

Anche lì ci sono uomini con le reti tristi dopo notti infruttuose di pesca. Come in quel lontano mare di Galilea (Lc 5,1-11). Uomini e giovinezze sempre connesse. Tengono scarpe slacciate, mutandoni in evidenza, jeans a vita bassa. Sempre collegati, quasi a cancellare spazio e tempo. Un ciao sotto casa e poi appuntamento su Msn, distratti dalla vibrazione del cellulare in tasca e con l’Ipod a fare da cuffia impermeabile al mondo. Ragazzi con doppio passaporto. Abitano il mondo: la banda, il muretto, la squadra, la compagnia, il gruppo musicale, la piazzetta, le vasche del corso, la spiaggia, i concerti, il pub, la discoteca, la notte, l’automobile. Ma quando il mondo reale va a pezzi loro estraggono il passaporto di cittadinanza di quello virtuale: la musica, il fumetto e internet.

Il 23 dicembre 1997 Jorn Barger, un appassionato cacciatore americano, apre una pagina personale sul web (sarà il primo blog della storia) per condividere hobby e interessi con gli amici. C’erano una volta i diari imprigionati da lucchetti: segreti, confidenze, memorabilia. Sogni, aneliti, visioni. Oggi, sotto le onde di internet, si sono trasformati in blog. Parole che al nonno sembrano malattie tropicali oggi sono linguaggio criptato in cui la realtà giovanile si muove a meraviglia: MySpace, Live Spaces (siti che hanno dato vita al fenomeno blog), Second Life, social networks. Sono spazi pubblici di confessione, piazze ri-attualizzate degli antichi areopaghi, mercati di virtuali idee e moderne confidenze.

Pure la Chiesa ne elogia le potenzialità: «l’interesse della Chiesa per Internet è un aspetto particolare dell’attenzione che essa riserva da sempre ai mezzi di comunicazione sociale. Considerandoli il risultato del processo storico scientifico per mezzo del quale l’umanità avanza “sempre più nella scoperta delle risorse e dei valori racchiusi in tutto quanto il creato”» (Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, La chiesa e internet). Dall’America all’Italia il passo è stato breve. Basta imbarcarsi su qualsiasi scialuppa e affrontare l’alto mare di Internet per scoprire la densità di popolazione, la voglia di tenerezza, il bisogno di rapporto che abita li dentro. Dietro un blog – accessibile a tutti o limitati ad una community scelta – c’è sempre una storia, un volto, una mano. L’Ermes Ronchi scrittore, nel suo libro Baci non dati (Paoline 2007) racconta che sull’atrio di sorella morte, Francesco ebbe fame. Di biscotti. Non di biscotti qualsiasi. Di quelli che partoriva donna Iacopa. Odorava di santità, ma aveva fame: di biscotti, di vicinanza, d’affetto. Non dei biscotti, ma della mano che li faceva. Non della mano: ma del cuore che muoveva la mano.

Il santo folle aveva fame di cuore di donna. Da uno spazio virtuale alla mano che muove il mouse. Dalla mano al cuore che fa muovere la mano che sposta il mouse. Il percorso è presto tracciato.

Percorso e relativi segnali di pericolo. Basti un esempio. Second Life è un mondo oggi abitato da 400.000 utenti di tutto il pianeta (secondo il sito donboscoland.it sono 9 milioni se si comprendono anche quelli inattivi). Iscriversi è semplice: a maggiore età avvenuta è gratis. All’interno si può costruire e vendere oggetti, comprare aree di terreno e condurre una “seconda vita” in cui cercare quella che la prima va negando. Gli incontri sono reali scambi tra esser umani. Un po’ come succede quando è il crepuscolo a impadronirsi della giornata. C’è un mondo che sceglie orari strani per vivere. Di notte s’abbandona la formalità del giorno, la compostezza sociale, il vestito stirato, il comportamento ineccepibile. Si è liberi la notte: si fanno cose il giorno non concede.

Certe città sono gemellate con la notte. Liberano da tutto, sciolgono responsabilità, convinzioni e propositi, gonfiano la trepidazione, azzannano l’immaginazione. Spingono tremendamente sull’acceleratore! Un commento a proposito della notte: “chiamatela come volete, per me può essere anche la parte perversa. Magari scambiarsi lo stesso ragazzo. Ma viene una cosa naturale perché sei talmente calata nell’ambiente, sei talmente coinvolta che andare in giro in mutande è una cosa normale. Certo è esibizionismo” (C. Fiore, Etica per giovani. Appunti e spunti per un’educazione morale, 138-141). D’altronde ogni affascinante possibilità nasconde un suadente rischio. Ma non c’è fedeltà senza rischio.

www.sullastradadiemmaus.it: una scommessa

Da studente lessi nella Gaudium et spes – Costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo elaborata dal Concilio Vaticano II: «benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale progresso è di grande importanza per il regno di Dio» (n. 39).

Nato e cresciuto preferendo la polvere della strada agli incensi delle navate e ai paramenti delle sacrestie, un giorno pregando (postazione scomoda ma unica per architettare genialità per conto Terzi) avvertii un’esigenza: “fame di Dio”. Mi guardai attorno: fantasia, creatività, ingegno. Parola, monitor, breviario. Tante email la sera, messaggi lasciati nel blog, voglia di parlare. Di conoscere Cristo, la Chiesa, il cristianesimo. Unii tanti cocci e decisi ch’era l’ora di inventarsi una scialuppa con cui incontrare altre barche tentando il largo nel mare del virtuale. Un’occasione ghiotta per spezzare il pane della Parola. E, magari, domani dell’Eucaristia. Nulla di speciale, se non la voglia d’emozionare e di lasciarsi emozionare nella giovinezza. Preferendo navigazioni giovani perché più vicine alla mia anagrafe. Sono le giovinezze del mondo. Che le istituzioni sembrano non conoscere. Ma se sei prete onesto, t’accorgi, puntando il volto della tua Chiesa, che mancano troppi volti. I volti figli della notte perché “di notte le ragazze sembrano tutte belle” (Jovanotti). Occhi che sfidano al ritmo di musica, con l’abbigliamento, con la provocazione. Duellano e poi tremano. Sguardi che ti spingono nella strada per indagare i loro luoghi, per assistere alle loro liturgie, per abitare le loro “cattedrali” per farli sentire importanti. Ma profuma di stranezza osservare come – al di là di Hi-Tech, Myspace e YouTube, oltre sms, mail, emoticon e blog, dietro Msn, iPod e indagini Istat – la vita, che dovrebbe essere tutto un party, sia scortata dalla paura di non farcela! Sulle strade delle nostre città, dipinte di Ralph Laurent, Gucci e Prada, di Woolrich, Museum e All Star di Aperol, Campari e Tequila ci son ragazzi che lottano alla ricerca di un Volto nuovo. Osservano: ma se non trovano, se ne vanno. Senza una speranza, ma con una nostalgia di Cristo aggiunta – come sottolineava un tempo Mons. Mauro Parmeggiani -.

La nostalgia di Cristo! Cioè la voglia di voler imbattersi almeno una volta in vita con quest’Uomo che ha fatto dell’uomo il suo investimento più azzardato.

Il mio sogno era una parrocchia virtuale. Una “fontana del villaggio” – immagine contadina di Giovanni XXIII – alla quale dispensare acqua, freschezza e refrigerio a chi le s’accostava. Ma alla voce della strada m’hanno sempre raccomandato di rispondere con la forza di un gruppo.

Per non uscirne a brandelli.

Nasce così, unendo la forza di un gruppo di ventun persone conosciutesi sulla piattaforma di internet (in rappresentanza di 5 regioni italiane), la nostra piccola ma combattiva realtà di evangelizzazione. Una canonica con il suo parroco e le sue catechiste, il sacrestano-webmaster e l’addetta stampa, il Consiglio Pastorale e il piccolo coro di bambini. La newsletter settimanale e un Santo Patrono: Giovanni Paolo II. L’ufficio del parroco, la sala polivalente K. Unterkircher e il libro degli ospiti. Tutto con le finestre spalancate sul mondo. Giornate di studio e percorsi di formazione organizzati nelle scuole, sentieri di fede nelle parrocchie, settimane di fraternità e campeggi con appuntamento in parti diverse dell’Italia.

E la collaborazione con quotidiani locali attraverso rubriche fisse, opinioni ospitate, promozione d’incontri. Gemellaggio con altre realtà di fantasia, di etica, di mondi colorati. Maglia per maglia si sta tessendo una rete nella quale far correre il brivido della Parola Eterna. Parola che – s’accetti l’ardire sfrontato d’appostarti nudo in fronte a Lei – ti fa sentire freddo. Ti prende per i capelli, ti stramazza a terra, t’accarezza e ti sfiora, t’ingigantisce e ti massacra. Ti stupisce, t’innervosisce, ti fa sentire le vertigini. T’impoverisce per ricordarti che sei miliardario nei talenti. Casa di vetro nel villaggio globale.

Per parlare e testimoniare Dio nelle interferenze della modernità. Con un uso attento e studiato delle immagini a preferenza dei discorsi. Essere capaci di evocazione è porgere l’occasione di dare voce a qualcosa che, navigando, va’ cercando un porto cui attraccare. Immagini e poesia per applicare quella celebre distinzione posta dal teologo tedesco K. Rahner tra parole che sono come «farfalle morte, infilzate nelle vetrine dei vocabolari» e parole viventi, che esistono da sempre e che, «quasi per miracolo, rinascono continuamente» (Rahner K., «Sacerdote e poeta» in La fede in mezzo al mondo, Paoline, Alba 1993).

E poi la zona dei forum, un viaggio dentro il labirinto giovane attraverso 19 porte d’ingresso: 1) Sms generation: tre metri sopra il cell; 2) “Sei la mia toporagna”: i linguaggi dell’amor cortese; 3) La solitudine: aiuto, ho paura; 4) Gesù di Nazareth: questione di feeling; 5) Il riscatto: gambe in spalla; 6) La parrocchia: mamma o matrigna?; 7) I sentimenti: tra dirsi e farsi; 8) L’inadeguatezza: specchio, ti distruggo; 9) Amici e dintorni: il Grande Tranello; 10) La volontà: tra impazienza ed attesa; 11) La bellezza: salvezza per il mondo; 12) Ho 18 anni: che bello essere giovani; 13) La tristezza: uffi, che noia!; 14) Il silenzio: riavvia il tuo pensiero; 15) La notte: “di notte le ragazze sono tutte belle”; 16) Il bullismo: tenerezza come antidoto; 17) La responsabilità: psicologicamente minorenni; 18) La preghiera: è solo della nonna?; 19) Graffiti e lucchetti: puoi tradurre, per favore?

Protagonisti sono i ragazzi di buona volontà. Discendenti diretti di quegli uomini di buona volontà di cui si fecero cantori gli angeli nella prima notte di Betlemme.

Un’esigenza: educare il cuore

Partita da due mesi, la parrocchia conta oggi più di 300 parrocchiani virtuali (resi tali da un’iscrizione resa volutamente scoraggiante per stanarne la vera motivazione d’appartenenza): studenti e operai, avvocati e notabili, preti, sportivi e giornalisti. Mamme, papà e pure qualche nonna. Un seminarista. Non accettiamo che l’homo sapiens sia divenuto col tempo homo ludens per trasformarsi ultimamente in un homo sbandatus.

Con grande fortuna degli psicologi: tutti a chiederci che risposte non abbiamo dato, che bisogni non abbiamo riempito, che tendenze ci sono sfuggite. Quando, forse, abbiamo volutamente dimenticato la cosa più semplice. E, quindi, più difficile: suscitare le domande nel loro cuore. Oggi a voler essere profeti, c’è un mantello da raccogliere: escogitare un piano per vincere questa sordità assordante verso l’esistenza. Oggi si muore sotto lo sguardo impietrito ma immobile: perché fa comodo una mandria di zombi, una generazione clonata, una massa ignara della responsabilità. Le telecamere di Studio Aperto filmano la contrattazione per l’ecstasy: l’illegalità sotto occhi distratti che diventa tacita legalità.

Una mandria che ha tradito il potere dell’immaginazione a scapito della moda. Cercasi disperatamente fantasia, sentieri nuovi di vita, avventura di redenzione, giovinezze salutari. Voglia di vivere, passione per l’arte, la musica, la pittura, lo sport, la danza. La scrittura. Le agenzie educative c’inculcano l’educazione motoria. Sessuale. Fisica. Scolastica. Catechistica. Politica. Sportiva. Elementare. Patriottica. Civica. Storica. Tutto qua! E un’educazione del cuore? Dei sentimenti? Dell’anima? Della responsabilità alla vita?

Non ci consola pensare che le tabelline e il teorema di Pitagora a scuola separano ancora i dotti dagli ignoranti, mentre un corso di “alfabeto emotivo” se ne sta tuttora al vaglio di qualche ministero della pseudo – istruzione. Eppure il sommario sarebbe di spontanea ideazione: creatività, emozioni, proiezioni, desideri, piaceri, dolori. Dopo 22 anni di studio una domanda non ha trovato risposta: serve più il teorema di Pitagora o declinare un corretto alfabeto emotivo?

Dal luglio di Sydney 2008 è rimbalzato un invito: “il Signore vi sta chiedendo di essere profeti di questa nuova era” (Benedetto XVI). Qui c’è da rimboccarsi le maniche.
Altro che applaudire festanti.

Sedotti per sedurre

Dal mio “osservatorio” di sacerdote – che condivide con loro la faticosa bellezza d’essere giovane – m’accorgo sempre più che il problema prioritario oggi non è l’indifferenza verso Dio. Ma la non-curanza verso gli interrogativi ultimi della vita. Da giovani è facile – anche se non è scusante – scambiare lo star bene con l’autentico vivere: ma questo non può durare un’esistenza intera. L’interiorità e l’affettività, a lungo andare, s’impoveriscono, s’inaridiscono, perdono prestanza.

E, senz’accorgerci, diamo il cervello “in comodato d’uso” alla noia. Ma la noia è il disinteresse totale, una morte a rate
Stordisce alla vita. E la si ammazza!

Il mondo virtuale incanta i giovani, ma non li soddisfa, perché se è bello comunicare con i cellulari, fare raccolte di mp3, di suonerie, di trasmissioni radio, costruire podcast, avere a disposizione tutti i mezzi possibili per comunicare a distanza, solo il rapporto concreto, l’amicizia del contatto fisico, del guardarsi negli occhi, del sentirsi accolti concretamente permette di sviluppare scelte e dare alternative alla solitudine. La comunicazione rintracciata nel cyberspazio non sostituisce tutto ciò: ne siamo coscienti. Ma può contribuire a spingerla verso spazi di novità, sentieri inediti e speranzosi, occasioni d’incrocio con realtà apparentemente inavvicinabili.

Una sfida motivante perché – memori delle esortazioni del Magistero della Chiesa – ci rendiamo conto che «per testimoniare Cristo è necessario incontrarlo personalmente, e coltivare questa relazione con Lui attraverso la preghiera, l’Eucaristia e il Sacramento della Riconciliazione, la lettura e la meditazione della Parola di Dio, lo studio della Dottrina cristiana, il servizio agli altri» (Giovanni Paolo II, Messaggio in occasione della XXXIV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2000).

Per riavvicinarsi a quella vespertina emozione corsa lungo la strada che portava ad Emmaus. Un incontro, un avvicinamento, un tentativo di sorpasso subito bloccato (Lc 24). Lo riconobbero nello spezzare il pane. E nell’accendersi del cuore: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino?» (Lc 24,32).

E i due? Avevano iniziato il loro cammino verso Emmaus con il passo stanco e depresso, adesso partono senz’indugio, di corsa, verso Gerusalemme, ansiosi di dire a tutti i loro amici che Gesù è risorto, è vivo.

Loro l’hanno incontrato. E, stanchi di camminare, iniziano a correre!

Intrigante quest’immagine di Dio. Perché non postarla su internet?

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy