Sono (male)detti i poeti: “Maledetti poeti!” Basta loro una parola – un tratto – e riescono a schiuderti l’infinito in un granello di sabbia: «Di che è mancanza questa mancanza, cuore mio, che d’un tratto ne sei pieno?» scrive Mario Luzi. In quel “tratto”: benvenuto infinito! Leggi una loro poesia, accetti un loro appuntamento al buio, ti imbatti in una loro sfumatura e, quasi-quasi, ti verrebbe da prendere a sberle l’infinito: “Perchè, avendo l’universo intero a disposizione, quella volta sei andato a nasconderti nello sguardo d’una bambina?” potrebbe aver da ridire Dante all’infinito. D’altronde: se quel giorno, per le strade di Firenze, Dante non avesse incontrato gli occhi di Beatrice Portinari, mai avrebbe potuto incontrare il suo Dio. Dio, da quand’è Dio, viaggia in borghese negli sguardi delle creature: il loro sguardo è ponte d’attraversamento per le sue traiettorie. Non soltanto per il grande Dante l’infinito ha fissato un appuntamento: anche per me, che di Dante sono un appassionato frequentatore, un dolente ammiratore. D’altronde, a volere essere sinceri, noi attraversiamo l’infinito ad ogni passo, in ogni momento noi ci troviamo faccia a faccia con l’eterno: non sempre ne abbiamo consapevolezza, però. L’infinito, la bellezza, Dio: «Timeo Iesum transeuntem et non redeuntem» (“Ho paura che Dio passi e io non me ne accorga”) scriveva Agostino. Bestialità della bellezza, quella feroce: certe volte perdi l’attimo, anche un attimo solo, poi ti accorgi che dentro c’era l’infinito: si era nascosto, forse, per te. Da parte sua, l’infinito, sa bene il fatto suo: più sarà minuscolo il “tratto” nel quale deciderà di andare a nascondersi, maggiore sarà il premio che riserverà all’innamorato fedele che avrà avuto l’ardire di inseguirlo, stanarlo e incontrarlo. Rilanciando la sua esistenza.

Dante Alighieri, Giuseppe Ungaretti, Umberto Saba, Mario Luzi, Clemente Rebora, Alessandro Manzoni, Eugenio Montale: poeti (che poeti!) e romanzieri (che romanzieri), anche cacciatori d’infinito, col fucile delle loro parole, l’uncino del loro sguardo. Ci hanno dato appuntamento nello splendido scenario della Val di Fassa (TN) – valli di silenzio, boschi di larici, gorgoglìo di torrenti – per condurci sulle traiettorie dell’infinito. O, almeno, tentare di far nascere l’appetito di andarci, un giorno, da soli. Dante che incontra il maestro Brunetto Latini nei gironi del “suo” Inferno, Ungaretti che spedisce una cartolina all’amico Giovanni Papini nella quale scrive: «M’illumino d’immenso». Saba che, in una oscura via di Trieste, ritrova «l’infinito nell’umiltà». Poi Luzi che, prendendo il suo cuore per il collo, gli va chiedendo «di che è mancanza questa mancanza» e Rebora che, da parte sua, prova a vedere di cos’è mancanza questa mancanza: «Non è per questo! Non è per questo!» E del Manzoni, che ne dite? Ci basti l’innominato, le sue capriole del cuore, per capire di cos’è capace l’infinito: «Quell’immagine (di Lucia), parve che in quel momento gli dicesse: “Tu non dormirai!”». Ha chiuso la speranza di Montale, quell’«avara speranza» che lui, incapace d’infinito, lascia come pegno al suo lettore, perchè s’inoltri lui, se vorrà, in direzione infinito, visto che «forse solo chi vuole s’infinita». Disgraziati poeti! Ci hanno spogliato, ci hanno interrogato, ci hanno messo al muro: “E di te, che mi dici, lettore mio?” ci siamo sentiti ripetere negli interstizi di silenzio tra una sillaba e l’altra.

Abbiamo fatto anche noi transumanza, come le bestie d’alpeggio incontrate nella valle. Siamo saliti, abbiamo mangiato erba verdissima, siamo scesi a valle: rimangono, adesso, parole da ruminare, rimasticare, meditare, digerire. Abbiamo dato la caccia all’infinito in compagnia di gente “disgraziata” che abita la patria galera di Padova: “Perchè lui è dentro e io no?” ripete qualcuno. Potrà, l’infinito, fissare appuntamenti giusto nel peccato più abietto per provare a riaccendere il cuore a qualcuno? Viste le lacrime fioccate ascoltando quelle peripezie, pare proprio di sì. Poi una notte, di fronte al Santissimo Sacramento esposto, l’infinito s’è fatto ancora più chiaro: basterebbe chiudere gli occhi, certe volte, per ritrovarselo davanti agli occhi.

Un grazie di cuore a tutti coloro che, dal 4 all’11 ottobre, hanno partecipato in Val di Fassa (TN) alla settimana di vacanza dell’anima dal titolo: “Forse solo chi vuole s’infinita”. In compagnia di alcuni “disgraziati” del carcere di Padova (il prete in primis). Chissà se qualcuno avrà sentito il suo pensiero farsi «più puro dove più turpe è la via» come ci ricorderebbe una delle nostre guide, Umberto Saba.
Pregare, meditare, incontrare, contemplare: gli atleti d’altissimo livello tutto ciò lo chiamano “riposo attivo”. Grazie per essermi stati compagni di viaggio nella mia personale ricerca del volto di Dio. E grazie, soprattutto, del bene che avete voluto (e volete) alla nostra gente del carcere. Anche se, alla fine, siamo noi a dire grazie a loro: per averci fatto vivere una settimana di educazione civica senza che noi manco ce ne accorgessimo.

Cosa dice la Scrittura Sacra? Che un giorno:

«ll lupo dimorerà insieme con l’agnello,
la pantera si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un fanciullo li guiderà.
La vacca e l’orsa pascoleranno insieme;
si sdraieranno insieme i loro piccoli.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide;
il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi» (Is 11,6-9).

Non è capitato, forse, anche questo in questi giorni?

don Marco Pozza

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.