Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Avvento: attesa e apocalissi

Con l’inizio dell’Avvento, ritroviamo, nella prima lettura, un fedele compagno di viaggio: Isaia, con le sue immagini di attesa e di preparazione, che ci aiutano a pensare all’importanza dell’incontro cui ci avviciniamo e che ci porterà, tra sei settimane, a festeggiare – ancora una volta – il santo Natale. La festa di un Dio che assume la nostra carne mortale, di un Dio che si fa piccolo, anche quando noi facciamo l’opposto, pur di non lasciarci soli a cercare la via del Cielo.

Sia nella prima lettura come nel Vangelo, troviamo scenari di devastazioni e di sofferenza, che possono giustificare come, nei primi secoli del cristianesimo, si fosse diffusa la credenza del millenarismo (il fatto, cioè, che ci sarebbe stato un periodo di mille anni di regno di Cristo, prima della fine del mondo).

Apocalissi e fedeltà

A fronte di un Vangelo (Mt 24, 1-31), in cui vediamo il Signore trans-guardare il tempio e vederne la distruzione, in termini apocalittici, è proprio nel Vecchio Testamento che troviamo una prima parola di consolazione: «La mia salvezza durerà in eterno, la mia giustizia non verrà mai meno» (Is 51, 6). Ciò richiama una lettera apostolica («Se siamo infedeli, egli rimane fedele, perché non può rinnegare sé stesso» – 2Tim 2, 13): entrambi i passi ci ricordano che, a dispetto delle difficoltà che la vita ci presenta, Dio rimane stabile, al contrario dell’uomo, velleitario, anche quando generoso, nei propri propositi. Novembre, mese in cui ricordiamo i nostri cari defunti, ci ricorda la caducità che caratterizza la nostra esistenza terrena. Il nostro cuore, però, che aspira ai desideri più alti, protesta di fronte al tempo che passa e alla morte che ci incalza da vicino. Di fronte all’instabilità della nostra esistenza, Dio si propone come stabilità cui potersi appigliare.

Insieme, nella Chiesa e nel mondo

Tuttavia, le parole che leggiamo sembrano davvero gravi, tanto da non lasciare scampo. Come mai, se il Natale è una festa di speranza, che segna l’inizio della vicenda terrena di Cristo, lo cominciamo tra proclami apocalittici e annunzi di sventura? Non è un controsenso? Nel Vangelo compare un’altra parola di speranza, che si aggiunge alla precedente e, forse, ci aiuta a entrare meglio in questo mistero: «E se quei giorni non fossero abbreviati, nessuno si salverebbe; ma, grazie agli eletti, quei giorni saranno abbreviati» (Mt 24, 22). Questo versetto suggerisce che non c’è un “destino già scritto”, un copione che attende solo di essere recitato dagli uomini come dei burattini nelle mani, come alle volte siamo tentati di pensare.

Siamo insieme, su questa terra; siamo insieme, nella Chiesa. Non siamo gettati, come vorrebbe Heidegger, nell’esistenza: siamo affidati gli uni agli altri. Non una goccia di sudore può essere dimenticata da Dio, non una preghiera di un giusto può sfuggirgli. Ciascuno di noi può diventare cooperatore della salvezza. Radicati in Cristo, roccia viva, con una vita che desideri ardentemente la santità e si faccia preghiera di soave odore, nella disponibilità all’opera della grazia in noi. Eppure, ancora oggi, dopo due millenni, ci è ancora difficile comprendere il Natale. Dio si è fatto piccolo, ma noi non ci stiamo a diventarlo. Guardiamo ai privilegi, al successo, all’avanzamento di carriera, a chi ha qualcosa più di noi. Mentre Dio, che aveva tutto, ha rinunciato ad ogni cosa, pur di non perdere noi, come ci ricorda Alessandro Manzoni, nel suo inno:

«Qual mai tra i nati all’odio,
quale era mai persona
che al Santo inaccessibile
potesse dir: perdona?
far novo patto eterno?
al vincitore inferno
la preda sua strappar?
Ecco ci è nato un Pargolo,
ci fu largito un Figlio:
le avverse forze tremano
al mover del suo ciglio:
all’ uom la mano Ei porge,
che sì ravviva, e sorge
oltre l’antico onor.»
(Alessandro Manzoni, Il Natale, 1812)

Il fine dell’inizio

Nell’inizio della storia terrena di Cristo, che è il Natale, c’è il fine dell’Incarnazione: l’uomo, da sempre nelle viscere di Dio, fino a farlo commuovere (Os 11,8). È necessario guardare la conclusione, per affacciarsi sul mistero della Natività: Dio si fa uomo, per amore dell’uomo, perché l’uomo riallacci la comunione con Dio, così da guardare sotto una luce nuova anche le vicissitudini del tempo e della storia.



Riferimento: letture festive ambrosiane, nella I Domenica di Avvento, anno A, in particolare, Is 51,4-8 e Mt 24, 1-31
Crediti immagine: Wikimedia

Una risposta

  1. Lui non ha rinunciato a noi. E noi???
    Aiutaci Signore a trovarti, sempre. Grazie Maddalena, sei un aiuto prezioso. Un abbraccio grande a te e a tutti voi

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