Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
Anticipo divino

Le “preferenze” di Dio

«In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti» (At 10, 34-36)

Pietro, in particolare tramite la penna di Luca (Vangelo e Atti) si mostra come uno tra i personaggi del Nuovo Testamento che più si trovano a doversi lasciare interrogare dalla Resurrezione di Cristo e dalle conseguenze che ne scaturiscono, nel breve e nel medio periodo. Non si può parlare di Gesù, prescindendo dalla storia del popolo d’Israele: è in questo solco che s’inserisce la storia del rabbi nazaretano, con la sua pretesa di definirsi Figlio di Dio. Ma, al concludersi della sua parabola terrena, serve un anticipo divino per arrivare, “con un colpo di reni” ad accogliere nella Chiesa sia i provenienti dalle genti che dalla sinagoga.

La Chiesa apostolica e l’apertura alle genti

Qualche passo prima, nello stesso capitolo, abbiamo avuto modo di vedere il Signore rivolgersi a Pietro, tramite una visione, invitandolo ad oltrepassare tutte le prescrizioni alimentari1. Un’immagine, che, negli Atti degli Apostoli, si espande quasi in un grido liberatorio, di chi, non senza stupore, sta, a poco a poco, scoprendo un nuovo volto di Dio, che finora gli era rimasto sconosciuto, proprio grazie a questo innesto di Gentili 2 sul ramo d’ulivo del popolo eletto, quello d’Israele.

Le radici veterotestamentarie

Già con Isaia, abbiamo potuto notare le prime aperture, decise, verso una fede dal sapore universale. Particolarmente, possiamo notare come il profeta, quasi mettendo tra parentesi tutte le regole legate alla purità cultuale, annuncia un’apertura alla conoscenza di Dio che coinvolge anche per lo straniero e l’eunuco, purché mostrino di voler dare compimento all’alleanza, tramite la pratica dei comandamenti 3.

I Padri e il Padre Nostro

Del resto, già i Padri della Chiesa, riflettendo sulla preghiera del Signore, notavano l’importanza di quel “nostro”, a far compagnia a quel rivoluzionario Abba (che è ben più familiare di “padre” e richiama, piuttosto a una modalità familiaree fanciullesca con cui rivolgersi ad un genitore). 4 Diciamo e non possiamo dire altro che “nostro”. Non “mio”. Perché quel “mio” sarebbe immensamente riduttivo. Equivarrebbe, quasi, a voler rubare Dio per sé.

Con la Chiesa, anche da soli

A trattenerlo, mentre quello intende andare verso la “Galilea delle genti”, a lasciarsi interrogare dalla donna siro-fenicia5 e dal centurione6, per trovare una fede pura, consapevole, affidata a Lui e non alle prescrizioni legali. Per un cattolico, la preghiera è sempre comunitaria, anche quando vissuta in solitudine, perché è sempre insieme alla Chiesa, all’interno della Chiesa e in comunione con essa che avviene ogni dialogo con Dio, dal momento che, tramite Cristo, che ne è il Capo, questa è innestata in Dio.

Non più mio, ma “nostro”

Ai giorni nostri, nel nostro continente, sicuramente, il messianismo giudaico influenza assai meno il nostro contesto culturale, così come la “preferenza” particolare accordata al popolo ebraico. Tuttavia, paradossalmente, possiamo essere particolarmente permeabili a nuove forme di “farisaismo”, che traggono alimento non più dalle Scritture o dai midrash giudaici, bensì dalla cultura laica. In una cultura come la nostra in cui il soggetto ed i suoi desideri sono la prospettiva fondamentale con cui guardare al mondo, una concezione comunitaria forte, come quella cattolica, che si considera parte integrante del corpo di Cristo (ciò comporta che, oltre ad essere un’istituzione umana, comprensibile con criteri e metodi scientifici umani, possiede dei criteri che la travalicano, dovuti all’intervento della grazia), può essere – quanto meno – destabilizzante, quando non ricevere lettura di arroganza e presunzione.

Un Dio che gioca d’anticipo

«Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?» (At 10, 47)

Così suona la domanda – retorica – di Pietro. Molto probabilmente, c’erano stati sporadici esempi di contatti di Cristo con i pagani, specialmente durante la predicazione in Galilea. La Chiesa apostolica, però, si trova ad affrontare la questione, con drammatica concretezza. La prassi giudaica è necessario sia lo “strozzatoio” attraverso cui passare per diventare cristiani? La risposta di Dio è un atto. Se il sacramento è un atto divino, che necessita, però, la mediazione della materia (acqua, nel caso del Battesimo), come potrebbe essere negato a chi, per preferenza divina, già ha sperimentato un atto senza mediazione?

Fratelli in potenza, figli nel Figlio

Al di là della storicità del fatto narrato, esso è – in ogni caso – testimonianza della concreta rilevanza che ebbe, nella comunità primitiva. È nella natura dell’uomo tracciare dei confini, lasciarsi rassicurare da un compimento della moralità che coincida con il compimento di una prescrizione legale. Da sempre, Dio invita ad allargare gli orizzonti verso ogni umanità, perché il vero compimento è l’amore che dice gratuità: è questa la cifra dell’amore di Dio, che ama ciascun uomo, nonostante nessuno gli sia necessario.

1«Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano» (At 10, 15)

2 È proprio in termini agrari che ne parla san Paolo (Rm 11, 16-20)

3 Vedi Is 56,1-7

4 Il Signore «ci insegna a pregare insieme per tutti i nostri fratelli. Infatti egli non dice Padre mio che sei nei cieli, ma Padre nostro, affinché la nostra preghiera salga, da un cuore solo, per tutto il corpo della Chiesa» (San Giovanni Crisostomo, In Matthaeum, homilia 19, 4: PG 57, 278)

5 Mc 7,24 -30

6 Lc 7, 1-10

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