Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
Beato angelico_ trasfigurazione

Sempre loro

“Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni”. «Tanto per cambiare», verrebbe da commentare a qualunque lettore che sia rimasto un minimo attento. Perché, negli snodi evangelici chiave, specialmente nei Sinottici, sono sempre questi nomi a comparire. Inizia tutto nel Vangelo di Marco[1], con un episodio che tutti riconoscono come vocazionale, cioè la chiamata di due coppie di fratelli pescatori, pur se di differente condizione: la prima coppia, infatti,  non lascia altro che reti dietro sé, mentre la seconda dovrà lasciare anche il padre, coi garzoni (situazione che fa pensare ad una sorta di “microimpresa”). Dopo quel momento, di Andrea si sentirà parlare molto meno: assumerà maggiore importanza Pietro, rispetto a tutti gli altri, ma sappiamo anche che Giovanni conquisterà il cuore del Signore, tanto da riposarvi durante l’Ultima Cena[2].

Su di un monte

Questo il sito che presenta la liturgia della Trasfigurazione: un alto monte. Gesù conduce i magnifici Tre sul monte e lì si trasfigura.
Un dettaglio che non è privo di importanza, né di storia e simbologia. Restando in ambito biblico, il lettore ebraico non può dimenticare il ruolo svolto dal monte Sinai, in cui Mosè riceve le tavole della legge e a cui ascende, più volte, per parlare con Dio[3]. Anche Elia ha un monte a cui è particolarmente legato: si tratta del monte Carmelo, dove, da solo, sconfigge i profeti di Baal e rinnova la propria fedeltà al Dio d’Israele[4].
Del resto, il monte, da sempre, nell’immaginario umano, per il suo cammino di ascesa (più o meno difficile) e per la sua posizione di dominio sui dintorni, ha assunto il significato spirituale della vicinanza con Dio.  Tanto è vero che, perfino per chi non ha molta dimestichezza col fumo dell’incenso, una passeggiata in montagna, assume spesso il valore di un atto spirituale, di “riconciliazione con se stessi”.  

Mosè ed Elia

In una visione sfolgorante di luce, Pietro distingue due personaggi: Mosè ed Elia; al riconoscerle, propone di preparare una dimora per ciascuno di essi. Visti assieme, costituiscono quasi le due anime della spiritualità. Mosè, simboleggia il rapporto vivificante con la Legge, accompagnata dal desiderio di vedere il volto di Dio[5]. Elia è uno tra gli ultimi dei profeti e rappresenta, quindi, la profezia, che si presenta come la capacità di vedere il mondo con gli occhi di Dio, imparando a leggere, nella storia dell’umanità, la trama intessuta da Dio per la redenzione del mondo[6].  Già in quest’immagine abbiamo un suggerimento di una complementarità dei due aspetti: non si può pensare di trovare salvezza dalla legge, perché essa, da sola, rischia di inaridire il nostro cuore, perché «l’amore è il pieno compimento della legge»[7]. D’altro canto, però, non si può neppure considerarsi sciolti da ogni vincolo con la legge: anche il profetismo, così come ogni altro carisma particolare, chiede il discernimento, per verificare che sia, appunto, direzionato alla carità e non alla vanagloria. Carisma ed istituzione, insomma, da sempre, necessitano un rapporto schietto, talvolta conflittuale, ma, in ogni caso, dialogico, per la preservazione della freschezza di entrambi.

Incapacità di espressione

Nei vangeli della Trasfigurazione, emerge tutta la povertà della parola umana, quando si confronta con manifestazioni divine, che la trascendono. Essa è messa a dura prova, trovata mancante, deficitaria. È un testo scritto, ma pare balbettare, alla ricerca di termini che non esistono, per descrivere qualcosa che, contemplato, lascia senza fiato; ma, se si tratta di descriverlo, lascia senza parole adeguate. Matteo usa due metafore legate alla luce; Marco, poi, utilizza, invece una similitudine, che, a rileggerla, fa persino sorridere, perché fa quasi pensare alla pubblicità di un detersivo: dice, infatti , delle vesti che erano così candide che “nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche”[8]

Timore, sbigottimento e adorazione

L’eccedenza dell’esperienza vissuta è ben simboleggiata sempre dal dipinto del Beato Angelico, che pone in evidenza le tre reazioni: lo sbigottimento di San Pietro, che sembra quasi cercare conferma in uno sguardo che interpella lo spettatore; il timore di san Giacomo, che nasconde la faccia e non ha il coraggio di guardare la visione, Giovanni che contempla, in adorante silenzio, raccogliendosi in preghiera.

Anticipo di eternità, ma anche… prove tecniche di Chiesa

Pietro, Giacomo, Giovanni. Tre persone, tre caratteri, tre diverse reazioni alla stessa esperienza. Chi ha ragione?
Viene da dire nessuno dei tre. Spesso, questo brano è sottolineato come un’esperienza che anticipa l’aldilà e – quindi – proclama la realtà della resurrezione, che, con il suo corpo glorioso, non attende solo Cristo, ma anche ciascuno di noi. Tuttavia, la Parola di Dio è sempre più ricca di quella umana. E in questo assortimento di reazioni, oltre all’anticipo di eternità, è possibile leggerci anche un significato ecclesiologico.

Nessun “meglio”…

Non c’è una sola reazione. Forse, è inevitabile che sia così. Siamo portati a credere che Giovanni sia meglio degli altri due. Eppure, di Giovanni, tra i Dodici, non ce n’è un altro. È – forse – una di quelle persone fantastiche e senz’altro arricchenti, ma che si può avvicinare solo “a piccole dosi”. O, detto in altri termini: non tutti possono essere Giovanni. Quindi: non serve che tutti lo siano. Perché, se fosse necessario, Dio vi provvederebbe.

…a ciascuno il suo!

C’è Pietro, che rimane senza parole. C’è Giacomo, che non ha il coraggio di guardare. Perché la Chiesa non è fatta di supereroi. Ci sono paure e chiusure da superare. Ci sono incomprensioni da affrontare. C’è uno stupore che può essere paralizzante.
Eppure, ciascuno a proprio modo, rimanendo fedele a se stesso, ciascuno può contribuire ad edificare il Corpo di Cristo, riflettendo un raggio di quel bagliore “che “nessun lavandaio sulla terra potrebbe rendere così bianco”.


Rif. Vangelo della Trasfigurazione

VANGELO Mt 17, 1-9
✠ Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo. Il Signore Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».


[1] Mc 1,16-20
[2] Gv 13, 25
[3] Es 20 / 31-34
[4] 1Re 18, 20-44
[5] Es 33, 19-23
[6] 1Re 17 – 2Re 2
[7] Rm 13, 10
[8] Mc 9,3


Finte immagine: Domenicane imeldine

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