La terza domenica d’Avvento, prevede, per il rito ambrosiano, il contatto, nella prima lettura con il brano[1] che dà origine al famoso canto d’Avvento Rorate, coeli: nel canto, la citazione isaiana che vuole attestare la gloria diventa invocazione accorata.
I dubbi del Battista
“Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”[2] domanda Giovanni il Battista, ormai in carcere, tramite i suoi discepoli. In questa richiesta si avverte tutta l’ansia di chi è ormai prossimo alla morte. Il sottotesto è particolarmente drammatico: «È forse tutto inutile? La mia intera vita è senza senso? Ho sbagliato non qualcosa, ma l’intera direzione che ho impresso al mio vivere?». Questo interrogativo, a ben pensarci, è agghiacciante. Chiunque se lo sia posto, almeno una volta nella vita, può attestarlo. Significa vedere scorrere, come in un film, tutti i momenti più belli che hanno costellato la propria vita, ma corredato di un’ignominiosa etichetta: “inutile”. È, forse, l’intimo terrore, che tutti ci portiamo dentro e ci ricorda come la nostra vita sia, proprio in quanto esseri umani, fragile e appesa ad un filo.
I segni inequivocabili
Il maestro di Nazaret, interpellato dai discepoli, non sembra in vena di parlare, quasi non voglia essere disturbato. Pare non dedicare loro molto tempo, ma calcolarli appena, invitandoli unicamente a guardare i gesti che compie. In contrasto con quanto avviene dopo, poiché, una volta allontanatisi i discepoli del Battista, rivolge alla folla un discorso ben più lungo, invitandoli a pensare sul significato della vita del Battista. Sembra quasi che, in risposta agli interrogativi del Battista, interroghi a propria volta le folle. O forse c’è qualcosa di più, vero anche per noi. L’invito a non cercare solo e soltanto parole. A volte, è la concretezza della vita il modo con cui Dio ci parla e il problema è che non abbiamo il coraggio di chiedere allo spirito santo di aiutarci a comprendere.
Quando la fede vacilla…
Talvolta, infatti, la durezza della vita, invece di spingerci a chiedere allo Spirito di aiutarci a comprenderla, ci porta a rifiutarla, in blocco, come qualcosa di eccessivo per le nostre possibilità. Anche nelle nostre vite, ogni tanto, il dubbio emerge: davvero Cristo è il Signore della mia vita? Davvero dirige le scelte della mia vita, oppure, in realtà vivo ancora in attesa di qualcosa che non so identificare, come se la salvezza non fosse già arrivata? Come se la mia vita non fosse già redenta?
Quando le condizioni effettive della vita richiamano la fatica, quando lo smarrimento s’impadronisce delle nostre menti, è forse naturale che lo sgomento annebbi la fede e anche noi, come Giovanni Battista in catene, ci domandiamo quale sia il senso di quello che viviamo, del tempo che trascorriamo tra affanno e turbamento, preoccupati di un domani che vediamo oscuro e privo di speranza. Tale è spesso la situazione di chi, ad esempio, vive una situazione familiare complessa, magari a motivo della salute compromessa di uno dei suoi membri, che mette in crisi la serenità dell’intero nucleo.
…il dubbio fa capolino
Una malattia che si prolunga, mettendo alla prova la ragionevolezza complessiva del senso della vita, è un esempio cogente di come la domanda radicale del Battista sia cogente per la nostra vita e si presenti come un interrogativo che tocca in modo significativo la nostra esistenza.
È inevitabile, forse, trovarsi a fare i conti con il dubbio. Da sempre, nella storia dell’uomo, il dubbio atavico è questo: perché un Dio buono permette il dolore. Ma anche: il fallimento, la frustrazione, l’abbattimento. Senza scivolare in una concezione quasi sadica di un Dio contento della sofferenza, una constatazione umanissima può forse aiutare. Molti – soprattutto: molte, tra noi – vorrebbero evitare che i più piccoli soffrano. Eppure, nella vita, la fatica è necessaria e, a volte, anche il dolore, per poter crescere. Altrimenti, il rischio è l’infantilismo. Quindi, senza degenerare nell’augurio della sofferenza, incontrare difficoltà aiuta ad accrescere l’autenticità: ecco, perché, talvolta, è anche – soprattutto! – attraverso il dubbio e la lotta corpo a corpo[3] che la fede cresce.
Rif. letture festive ambrosiane, nella III domenica di Avvento, Anno C: Is 45, 1-9; Rm 9,1-5; Lc 7, 18-28
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[1] Is 45, 8
[2] Lc 7,19
[3] Come Giacobbe, che lotta con “lo sconosciuto”, al guado di Yabbok (Gen 32, 25-33)
2 risposte
È nella prova che la vera fede arriva.. grazie Maddalena per questa bella meditazione. Buona giornata a tutti voi