Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
Sofferenza e gioia, nella gloria

Il serpente e il Messia

Come il serpente di bronzo, innalzato nel deserto da Mosè, quale antidoto al morso dei “serpenti brucianti”1: così appare il Figlio dell’Uomo, a chi lo guardi con gli occhi della fede.

Ma le sue vicissitudini umane non hanno ricevuto sconti. Tradito, umiliato, sbeffeggiato, deriso. Abbandonato, percosso, sfigurato, ucciso ignominiosamente.

Ecco perché il canto del servo sofferente di Isaia del capitolo 52 è – da secoli – riferito a Cristo. Non è scontato che lo sia. Non è mai stato scontato che lo fosse.

Il ritratto glorioso

Il ritratto messianico maggioritario, all’epoca in cui Cristo calca le polverose strade della Galilea, era tratteggiato sotto l’egida della potenza politica e militare, forti anche del fatto che la dinastia era quella di re Davide, che con la sua virtù militare aveva messo in ombra le capacità del condottiero Saul2, fino a far nascere in lui una sempre più crescente invidia.

Un insolito connubio

Il problema è sempre stato coniugare il ritratto messianico con quello profetico.

Ne abbiamo conferma anche dal susseguirsi del fraintendimento con il gruppo dei Dodici, particolarmente evidente nel Vangelo di Marco3: se di fronte i miracoli paiono rianimarsi, ogni annunzio della Passione accresce la distanza tra il Maestro e i discepoli, che non riescono a concepire come accordare il messianismo – pur diffuso, a quell’epoca – con quell’immagine che, al limite, poteva essere più comprensibilmente attribuita a qualche profeta, il cui messaggio sia rifiutato.

Il primo rischio: la negazione

Di fronte alla difficoltà di coniugare assieme le due prospettive, la prima tentazione si è spesso concretizzata nell’eresia del docetismo, che, incapace di accettare un Dio in ginocchio, preferisce asserire che si tratta solo di apparenza. Apparenza lo scandaloso corpo di carne che Cristo ha assunto. Apparenza la sua sofferenza e morte. Ma – obietta Cirillo di Gerusalemme, sulla scia di san Paolo4 – se apparenza è la sofferenza e la morte di Cristo, lo è anche la redenzione che dalla Croce proviene?5

Il secondo rischio: sofferenza e “dolorismo”

Qui s’inserisce la pietà popolare. La via crucis ed un’infinità di devozioni rimaste di ambito locale, che vogliono sottolineare la sofferenza di Cristo. È unoccasione unica. Il Dio lontano, che sembra disinteressarsi dell’uomo, d’improvviso è diventato fragile: ha perso i connotati della perfezione e dell’inviolabilità. Sanguina. Lacrima. Cade. Si sente solo. Domanda aiuto. Un Dio scandaloso e imbarazzante, sorretto dalle donne e abbandonato dagli uomini. Mentre la pietà popolare conta le cadute, i Padri della Chiesa si interrogano sul significato più profondo della narrazione della Passione.

La “problematica” prospettiva trans-figurante cristiana della sofferenza

Lo sguardo di Dio è uno sguardo – per così dire – prismatico. In un solo momento, abbraccia passione, morte e resurrezione. È per questo che Giovanni, già nel momento in cui Cristo spira, considera compiuta la redenzione6, richiamando, in tal modo la pienezza dei tempi, che aveva evocata durante il proprio Prologo. La glorificazione di Cristo passa per la Croce, come punto di intersezione tra il dolore per la sofferenza e la gioia per la resurrezione, perché «dopo il suo intimo tormento vedrà la luce» (Is 53,11). Così si capisce anche il legame tra Trasfigurazione e Resurrezione: uno sguardo tras-figurante (non: s-figurante!) è capace di vedere oltre. Che significa: vedere ciò che c’è, ma non solo, vedere di più. Solo assumendo questo sguardo, che è proprio di Dio, possiamo vedere nelle ferite della Passione sul corpo martoriato di Cristo, le feritoie che rimangono sul Suo corpo glorioso, una volta risorto.


Rif: prima lettura, Domenica delle Palme, anno A: Is 52, 13-53, 12

Immagine: Arte svelata, crocifissione di Grunewald


1Nm 21,8
2Cantavano le donne, quando i due ritornavano dalla battaglia: “Saul ha ucciso i suoi mille, Davide i suoi diecimila” (cfr.1Sam 18, 7-8)
3Nello specifico, in Mc 4,40 emerge l’incomprensione dei discepoli riguardo l’identità di Gesù
4“Se è solo apparente la croce, lo è anche la risurrezione. Che se Cristo non è risorto, noi siamo ancora nei nostri peccati” (CIRILLO DI GERUSALEMME, XIII catechesi prebattesimale, par.37) che riecheggia 1Cor 15, 13-14
5 Ne abbiamo conferma anche dal susseguirsi del fraintendimento con il gruppo dei Dodici, particolarmente evidente nel Vangelo di Marco: se di fronte ai miracoli paiono rianimarsi, ogni annunzio della Passione accresce la distanza tra il Maestro e i discepoli, che non riescono a concepire come accordare il messianismo – pur diffuso, a quell’epoca – con quell’immagine che, al limite, poteva essere più comprensibilmente attribuita a qualche profeta, il cui messaggio sia rifiutato (vd. anche CIRILLO DI GERUSALEMME, XIII catechesi prebattesimale, par. 4)
6Gv 19,30

Alcune suggestioni si ispirano a:

  1. G. BARZAGHI, Lo sguardo della sofferenza, ESD 2011
  2. G.BARZAGHI, Il riflesso – La filosofia dove non te l’aspetti o il rosario filosofico, ESD 2018

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