Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
Cristo Re: stirpe, speranza di verità

In “Cristo Re” è – semplicisticamente – delineata la Solennità che precede l’Avvento, con il cambio del ciclo liturgico e che, per il rito ambrosiano, comincia “con anticipo”, poiché prevede ben sei settimane (contro le quattro romane) di Avvento in preparazione al Natale.

Il Messia davidico

Davide è un personaggio strano. Secondo certi aspetti (in particolare, naturalmente, mi riferisco al peccato di Davide, con tutte le numerose implicazioni successive1), verrebbe da pensare quasi si tratti di un corpo estraneo, rispetto alla storia della salvezza. Per altri (particolarmente, mi riferisco al rapporto con Saul, verso la fine della vita del re2, quando Davide si trova in balia dell’instabilità emotiva del sovrano, ma non alza mai la mano contro di lui, nonostante ne abbia più volte occasione), invece, si può ritenere senz’alcun dubbio precursore della nuova alleanza, che vedrà il proprio compimento in Cristo.

Davide e noi, nell’economia di salvezza

Per un motivo e per l’altro, Davide si mostra estremamente vicino a ciascuno di noi, preso nella tenaglia dei “se” e dei “però”, carichi di grandi slanci ideali, ma altrettanto sballottati qua e là da passioni diverse e talvolta contrastanti, incapaci di unificare il nostro animo, indirizzandolo al bene. Eppure, atttraverso un siffatto individuo, Dio traccia la linea della storia della salvezza che, da Adamo, giunge fino a noi. È il segno, concreto, che Dio si serve della mediazione, pur imperfetta, dell’uomo e che non vi rinuncia per nessun motivo, neppure quando siamo noi stessi a rendercene del tutto indegni.

La premura per Dio

L’episodio che vede Davide interessarsi alle sorti di Dio3 suona quasi ingenuo, ai nostri occhi di occidentali, forse, per alcuni versi, avvezzi all’astrazione da secoli di filosofia. Il buon Davide mostra di voler fare una “casa per Dio”, protestando l’ingiustizia per cui lui stesso abita in una casa di cedro, mentre la divinità si trova sotto una tenda. Pur nella semplicità della narrazione, traspare una premura sincera, perché Davide è uomo dai grandi slanci, nel bene e nel male e se vede qualcosa che non gli torna, si mette all’opera per agire. O, almeno, così farebbe, se Dio glielo permettesse.

Un primo annuncio: Dio come Padre

«Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio» (2Sam 7,14)

Con queste parole che, nel passo specifico, alludono allo stretto legame che si instaura tra Dio e il re, s’inaugura – per così dire – una metafora, che spinge molto oltre l’immaginario dell’amore di Dio per l’uomo. In tutte le religioni coeve c’erano divinità “paterne”, ma, per lo più si trattava di una paternità carnale, spesso rivolta verso altri dei o semidei, come nel caso di Zeus.

Un re, nonostante tutto, inatteso

Secoli dopo, Gesù Cristo, Figlio di Davide, figlio di Dio, si manifesta, in ogni caso, come un re anomalo. È vero che tante erano le tradizioni ebraiche riguardo al messianismo e tante e diverse le profezie che lo preannunciavano, nelle scritture del Primo Testamento. Tuttavia, tendenziale era la linea che vedeva predominante l’aspetto regale, con una sfumatura politico-militare piuttosto spiccata; tale interpretazione, del resto, ai tempi di Gesù era più che giustificata dal desiderio di una maggiore libertà, rispetto alla situazione in cui si trovavano i giudei del suo tempo.

Un re differente

Sotto il giogo romano, s’accende la speranza che, presto, possa arrivare il messia tanto atteso, magari con la forma di un condottiero valoroso, capace di condurli, vittoriosamente, ad uno scontro armato contro l’invasore romano. Ma Cristo nasce lontano dai palazzi, è in fila coi peccatori sul Giordano, calca le strade della “Galilea delle genti” (Mt 4,16) nella sua predicazione itinerante, della durata duna manciata d’anni.

“Per dare testimonianza alla verità”

È possibile rinvenire la finalità della venuta di Cristo nella carne, in attesa del suo ritorno glorioso (parusia), nel dialogo con Pilato, che possiamo leggere nel vangelo di Giovanni4:

«Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 18, 37)

La verità, con Cristo, non è mai accessoria. Piuttosto, è imprescindibile. In un mondo, come quello odierno, in cui tutto è opinione, il solo cercare la verità, presupponendone l’esistenza, è interpretato come un atto di arroganza, e non come uno di ostinata speranza della sua presenza e della possibilità di un incontro. Forse, per l’uomo contemporaneo, Cristo rappresenta questo: la speranza che la verità possa prendere corpo, possa ricevere un volto, possa farsi desiderabile e incontrabile.


1 Cfr. 2Sam 11-12

2 Cfr. 1Sam 23-26

3 Cfr. 2Sam 7, 1-15

4 Gv 18, 33-37


Fonte immagine: Wikimedia commons, Cristo Re, vetrata di Beidler
Rif. Letture festive ambrosiane, nella Solennità di Cristo Re dell’Universo

LETTURA 2Sam 7, 1-6. 8-9. 12-14a. 16-17

VANGELO Gv 18, 33c-37
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Pilato disse al Signore Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

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