Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
La via del ritorno_coming back

Avvicinamento alla Quaresima

Memore dei fasti antichi, il rito ambrosiano, che vedeva le domeniche precedenti la Quaresima (Quinquagesima, Sessuagesima e Settuagesima) innestate in uno spirito penitenziale, fa seguire, alla Domenica della Divina Clemenza, quella del Perdono.

Prostituzione e idolatria

La prima lettura, tratta dal libro del profeta Osea, ci conduce alla radice del peccato. La storia narra di un profeta (lo stesso Osea), chiamato da Dio a sposare una prostituta del rito di Baal. Nell’Antico Testamento, la prostituzione è abitualmente utilizzata come figura dell’idolatria. Nella Bibbia, non esiste l’ateismo; del resto, a ben pensarci, è difficile pensare che esista, in senso stretto, l’ateismo. Nonostante il tentativo di screditare la fede, è vero – piuttosto – che “chi non crede in Dio, crede a qualunque cosa”. Non, necessariamente, “ogni cosa”. Tuttavia, sempre, in qualcosa che ne prenda il posto, assurgendo, quindi, ad idolo.

Il nodo dell’ego

Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande (Os 1,9)

Queste sono le parole di Gomer, che, tramite un efficace adynaton, evidenzia come l’egocentrismo sia la chiave per comprendere il peccato, ma anche, come opportunamente rileva Baden-Powell, l’origine della tristezza: l’egoismo, facendoci ripiegare su noi stessi, ci chiude alla novità che l’altro può immettere nella nostra vita e fa sì che la nostra vita rimanga povera e arida.

Un deserto d’amore

Osea, figura di Dio stesso, è chiamato a valicare le staccionate erette da Gomer, a protezione della propria comfort-zone (sapere di contare su vitto e alloggio sicuri), che si rivelano insufficienti a difendere la propria possibilità di felicità.

Ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e là parlerò al suo cuore (Os 2, 16)

Ci è difficile, come prima istanza, pensare al deserto come ad un luogo seducente. È più facile, piuttosto, che ai nostri occhi sia arido, brullo, desolato. Tuttavia, non si tratta dell’unico riferimento biblico che pone in rilievo un legame tra il paesaggio del deserto e il tempo del fidanzamento[1].
Il deserto possiede ed esprime un fascino tutto suo. Il suo aspetto peculiare è proprio la mancanza. Di vegetazione, di forme di vita, di punti di riferimento… più in generale, di distrazioni, di qualunque tipo. Il deserto richiama all’essenzialità. Non a caso, è nel deserto che troviamo san Giovanni Battista, voce di uno che grida nel deserto. Non più corpo. Soltanto voce. Una traccia uditiva, senza che lo sguardo possa essere dissuaso, distogliendo l’attenzione dall’essenziale, da ciò che – al contrario – è imprescindibile.

Nostos, la via del ritorno

Gomer, come il figlio (o: i figli?) della parabola del Padre misericordioso. Il loro problema è trovare la via del ritorno. Hanno bisogno di essere punti nel vivo, di sperimentare quell’essenzialità (di cibo, di acqua, di relazioni umane) che il deserto riesce ad evidenziare, così da comprendere che proprio quella mancanza, che diventa un pungolo insistente, corrisponde all’indispensabile.

Le carrube e la tavola imbandita

A volte, la via del ritorno passa  – anche – dallo stomaco. Che si fa via di comunicazione per dei bisogni più profondi. Il secondogenito compie qualcosa di simile ad un parricidio edipico: chiedere l’eredità al genitore, quando questi è ancora in vita, da un lato rappresenta un grido di libertà, ma, dall’altro, equivale – quasi – a desiderarne la morte (quanto meno: lascia trasparire un certo fastidio, motivato dalla sua presenza). Del resto, se il primogenito lamenta la necessità di un capretto (e non doveva essere una casa in cui si facesse la fame, stando alle elucubrazioni del minore, che sono la “molla” che lo fa rientrare in sé), lo stomaco, forse, rimanda alle viscere, all’utero materno ( םימח- rahamim), quindi, più in generale, a quell’interior intimo meo di agostiniana memoria, che fa pensare alla parte più vulnerabile di ciascuno di noi. Perché le carrube dei maiali sono il pretesto per risvegliare un ricordo, che va oltre al riempire la pancia. Tant’è vero che in cambio delle carrube non ricevute, non giunge ad avere le briciole, ma una tavola imbandita, la convivialità del condividere un pasto e una festa apposta per lui.

Il capretto della discordia

Agli occhi del figlio maggiore, il trattamento riservato al minore è una somma ingiustizia. Eppure, il padre d’ambedue è uomo che accorre: come corre incontro al minore prim’ancora che abbia varcato al soglia, così si fa presso al maggiore rimasto fuori, in disparte dalla festa. Il maggiore non riesce a perdonare al fedifrago fratello minore la “fuga con il bottino”, mentre, in realtà, dovrebbe essergli grato: se gli è rimasto così tanto sullo stomaco il capretto NON mangiato con gli amici, quanto doveva essere rimasto in sospeso, nel suo cuore, di cui aveva bisogno di chiarire col genitore?

Maggiore, minore, o..?

Senza dubbio, la risposta è “O”. Alla fatidica domanda d’immedesimazione “in chi ti rivedi?”, la divisione è tra chi trova familiarità nel pelagianesimo latente del maggiore (“ribelle interiorizzato”) e chi, invece, sente propria la rivolta esplicita del maggiore (“ribelle esteriorizzato”). Probabilmente, la verità più profonda di noi stessi è che, a ritmi alterni, convivono in noi  entrambi.
L’augurio più sincero, conseguentemente, è quello di sperimentare una terza sensazione: l’abbraccio di un Padre che accorre, perché non solo fa festa a chi sente nostalgia del desco familiare, ma va in ricerca anche di chi non vede alcun motivo per far festa. Perché l’egoismo, in qualunque forma si manifesti, rende ciechi di fronte alla possibilità di condividere la gioia altrui.


Rif. letture festive ambrosiane, nell’ultima domenica dopo l’Epifania (detta “del Perdono”) (Os 1,9a. 2,7a.b-10.16-18.21-22; Lc 15, 11-32)


Fonte immagine: pexels


[1] Va’ e grida agli orecchi di Gerusalemme:
Così dice il Signore:
Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza,
dell’amore al tempo del tuo fidanzamento,
quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata
(Ger 2,2)

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