Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Ovunque è già da tempo “Buon Natale!” Eppur non è proprio così per tutti: c’è anche chi al Natale risponde con rabbia o fastidio, maledendo tutto ciò che il mondo accende nella memoria in prossimità del Natale. Carlo, detenuto da più di quindici anni nella galera di Padova, per diciassette volte (tanti sono stati i suoi natali trascorsi nella gattabuia) non è mai riuscito ad accendere la lampadina di un sorriso: «Tanti di noi, in questi anni, non hanno avuto la possibilità di fare festa il giorno di Natale – racconta mentre riordina la cella -: dovevamo, dovevo, pagare un reato. Che cosa facevo il giorno di Natale in carcere? Semplice: mi svegliavo verso le sette e mezza, alzavo le coperte, oscuravo la finestra e mi rimettevo a dormire più che potevo. Il sogno era di riuscire a dormire tutto il giorno. Non avevo voglia di sentire nulla, di ascoltare nessuno. Mi mancava quel qualcosa – la famiglia, un piatto caldo, un abbraccio – che mi aiutasse a trovare un significato a quella giornata». “Buon Natale!” diciamo. Eppure la bontà di questo giorno non è mai cosa scontata: la maniera con la quale l’abbiamo celebrato da bambini segnerà per sempre il modo con cui lo vivremo diventando grandi. In galera, a Carletto, non gli è mai riuscito di guardarsi allo specchio il 25 dicembre e dirsi: “Buon Natale, ragazzo! Che almeno oggi ci sia lo spazio di un sorriso”. Sotto le coperte, il buio stordisce a dismisura. E il non fare niente, alla lunga, infiacchisce anche la luce.

È davvero tutta una storia di famiglie felici e incontri gioiosi come racconta la televisione a dicembre? «A casa nostra, da bambini, lo stipendio di papà non bastava – continua -: finita la terza media sono andato a lavorare. Niente: troppa fatica senza un senso. Uscito in piazza, sono diventato un bulletto, ho iniziato a spacciare e ho portato in galera tutta la mia famiglia. Vedere i miei genitori dentro per colpa mia, mi ha fatto provare schifo di me. Altro che festeggiare le feste». Il male, comunque, non è mai l’ultima chiamata: se Natale è Cristo che (ri)nasce dopo ogni fregatura che l’uomo gli fa trovare, allora o è Natale tutti i giorni oppure non è Natale mai. “Buon Natale”, quest’anno sarà la volta buona: «Dopo anni, la vita mi ha offerto un’opportunità: l’ho colta e sono tornato alla vita. La scuola, il lavoro, la parrocchia: vedendo tutto questo bene in galera, mi sono rinfacciato tutte le cose belle che mi sono perduto negli anni. Pensavo che la malavita fosse vita, che mi facesse bene, invece mi ha tolto tutto: mi ha rubato la vita». Quest’anno, a Natale, dopo i diciassette Natali trascorsi nascosto sotto le coperte, finalmente il sorriso: «Stavolta, per me, sarà un vero Natale. Non chiedo nulla a Babbo Natale: ringrazio il Cielo perchè dal male fatto con le mie mani ha saputo aiutarmi a ritrovare una forma di bene». A Natale nasce Cristo: ogni giorno, però, c’è un uomo, una donna, che prova a rinascere dalle macerie della sua vita. Ogni giorno, dunque, è un po’ la vigilia di un Natale. Oppure non sarà Natale nemmeno il 25 dicembre.

(da Specchio de La Stampa, 18 dicembre 2022)

Una risposta

  1. Il Natale della tv è solo commerciale. La vita vera è un altra. Chi soffre x non aver mai goduto un piatto condiviso , chi soffre x malattia o per una risposta di una biopsia , chi soffre l’ assenza delle persone care eppure se quel Gesù è con me tutti i giorni fino alla fine del mondo tutto pesa la metà. Lui mi aiuta a portare il mio peso e così anche il tuo Carletto…..che sia finalmente un Buon Natale anche x te. Un abbraccio.

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