Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
Terra Promessa

Stavolta, vorrei soffermarmi sulla prima lettura. Una lunga lettura di un brano degli Atti degli Apostoli. Non è molto famoso, ma ha un suo rilievo, sotto molti punti di vista, perché pare riportare una sorta di catechesi offerta da Stefano. Sapendo quale sarà la sua fine, che inizia ad essere evocata proprio nella frase conclusiva[1], le sue parole acquistano – se possibile – un rilievo ancora maggiore.

Uno sguardo al passato

Stefano si rivolge a “fratelli e padri”, lasciando subito intendere che il suo uditorio è composto, etnicamente e culturalmente, da ebrei. Condividendone le origini, fa, sostanzialmente appello, a un nucleo culturale condiviso, nella sua predicazione.

Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè. Nomi sicuramente parlanti per qualunque fedele ebraico. Forse, un po’ meno per noi, oggi.

Tre uomini, tre padri

Abramo: l’uomo della fede. L’uomo delle fedi. Padre di molti popoli. Padre, quando ormai non ci credeva. Sappiamo la sua storia. Una promessa che si ripete: una discendenza numerosa, come le stelle del cielo (“se puoi contarle”). Ma l’inveramento sembrava non arrivare mai. Il tempo passava, incidendo nel corpo e nel cuore, mettendo a rischio la fede.  

A Mosè, Adonai si presenta come il Dio “di Abramo, Isacco e Giacobbe”. È un po’ come riavvolgere il nastro e rivedere e riascoltare le puntate precedenti. Le storie che ci dicono chi siamo, quelle che ascoltavamo da piccoli. Mosè ascolta, si stupisce, si fa piccolo piccolo, di fronte a quell’incontro suggestivo e senza pari. Sa che non parla bene. La sua elezione è al contempo l’elezione del fratello Aronne. Aronne sarà la bocca di Mosè e Mosè dovrà fidarsi di lui. Mosè sarà padre di quel “popolo numeroso” che era stato preannunciato ad Abramo. Diventerà mediatore e profeta. Fino a pagarne le spese, rimanendo escluso dall’ingresso nella Terra Promessa, tanto attesa e desiderata. Sarà Giosuè ad entrarvi. Non  prima che anche Aronne sia stato protagonista in negativo, nell’episodio del vitello d’oro.  

Il coraggio della testimonianza

Un aspetto che non può passare inosservato, in questo esempio di prima “predicazione cristiana” è sicuramente la particolare energia, mostrata da Stefano. Persino eccessiva – verrebbe da dire, pensando al suo epilogo. Probabilmente, un po’ di prudenza non avrebbe guastato – è il pensiero che si affaccia nella nostra testa, sulla base di – seppur minime – conoscenze di diplomazia e di saper-stare- al-mondo.

Possiamo notare, infatti, una progressione nella veemenza verbale di Stefano, che arriva al suo apice proprio nel finale:

Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i vostri padri, così siete anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete diventati traditori e uccisori, voi che avete ricevuto la Legge mediante ordini dati dagli angeli e non l’avete osservata[2]

I nostri padri

L’energica predicazione di Stefano mostra di sapere perfettamente chi ha innanzi e, proprio per questo, sceglie di riferirsi al messianismo di stampo giudaico e al martirio che ha caratterizzato la biografia di diverse figure profetiche.
I patriarchi erano il punto di riferimento per il popolo, tanto da rendere secondaria l’effettiva realtà di queste figure. Fondavano l’identità di un popolo, come Romolo per la città di Roma, di cui, ancora oggi, si ricorda il leggendario “Natale”. Nessuno dei nomi citati, tuttavia, brillava come un diamante perfetto. Ciascuno di essi ha avuto modo di mostrare le proprie debolezze e fragilità. Allora, perché guardare a loro?
Anzitutto, hanno avuto il coraggio della responsabilità. Si sono presi cura di un popolo, si sono presi a cuore le necessità di qualcun altro. Secondariamente, pur con fatica, sono riusciti a far spazio all’azione di Dio. Non è sempre facile accettare di “perdere il controllo”, seguire tempi diversi dai nostri progetti, piani diversi dalle nostre pianificazioni.

Fondamenta per il futuro

È difficile accorgercene oggi, in cui il padre sembra la vittima più illustre. Ancora oggi, però, ci è necessario guardare al passato, per progettare il futuro. Come Stefano agli albori di una predicazione che assaporava la Resurrezione non ha potuto evitare di guardare alla strada che aveva alle proprie spalle, per comprendere la pienezza che scorgeva all’orizzonte, ciascuno di noi ha bisogno di tornare con la mente alla paternità del passato che ci ha generati per il futuro che ci attende. Un futuro ignoto, ancora da scrivere, ma i cui semi hanno origini lontane. Il passato non toglie mai libertà, ma consente di comprendere meglio l’identità da cui si proviene.


[1] All’udire queste cose, erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano (At 7, 54)
[2] At 7, 51-53


Rif. Prima lettura (At 7), nella V Domenica di Pasqua, Anno B
Fonte imagine: mosaico-cem


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