Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
3 statuine Gesù Bambino

Presepe in famiglia

L’8 dicembre si è soliti fare il presepe, ma a casa mia è da un po’ di anni che abbiamo anticipato alla prima domenica di Avvento questa tradizione, nel senso più bello del termine, di traditio, “tramandare”. Una sorta di passaggio di famiglia in famiglia, di generazione in generazione.

A fare il presepe, e a farlo in grande, me lo ha insegnato mio padre, che per recuperare il muschio mi portava fino in montagna. Così mi è rimasto questo ardente desiderio di farlo non bello, ma bellissimo, ad ogni nuovo Natale. 

Creatività all’opera

Mi rendo, però, conto che, negli ultimi anni, sto lasciando spazio alla creatività delle mie figlie. Ora tocca a loro, non più a me, io posso solo dare indicazioni sommarie, insegnare a piegare la carta per le montagne, spiegare come far star su le pecore che costantemente cadono, perché nel presepe senza muschio ci sono sempre numerose pecore che cadono e l’arcana soluzione al problema è di posarle alle gambe di qualche pastore, di qualche viandante. È anche un’ immagine commovente, questa, del pastore che regge la pecora che, altrimenti, cadrebbe sempre. Ci sono pecore che non hanno bisogno del pastore per stare in piedi, riescono a seguirlo senza problemi, e ce ne sono altre, invece, che necessitano di stargli appresso sempre. Da sole, non ce la possono fare.

Spiego che i magi vanno messi lontani e spostati di mezzo centimetro ogni giorno, mentre i pastori possono stare un po’ più vicini, che le case devono stare dritte, non storte sulle pendici dei monti.

Soprattutto, insegno loro l’Avvento, l’attesa della nascita di un bambino, la Natività del Figlio di Dio. Insegno la regola n. 1 di ogni buon presepe, anche se non è scritta da nessuna parte: Gesù non si mette nella capanna prima della mezzanotte del 25 dicembre.

Bisogna aspettare, tutto il presepe attende. Tutti i personaggi, le montagne, le pecore, Giuseppe e Maria, sono protesi verso la culla vuota, tutti attendono questa prodigiosa nascita. E noi come loro.

Una sorpresa, dietro la capanna

Lo hanno capito che Gesù non va messo in anticipo, perciò lo nascondono dietro la capanna.

Ma la meraviglia mi ha colto qualche giorno fa, mentre spegnevo le luci su quel piccolo panorama palestinese… Dietro la mangiatoia non c’era più un Gesù bambino, ce n’erano tre. Uno per ogni figlia, uno per ciascuno.

Quale genio hanno i bambini lo sa solo il buon Dio. Noi adulti, infatti e giustamente, pensiamo che Gesù sia uno per tutti, ed è così, effettivamente. Ma i bambini devono concretizzare questo suo “essere per tutti”, devono rendere visibile che Lui è per te, per me, per noi. Perciò eccolo lì, dietro la capanna, in attesa anche lui, visibile in tre statuine simili, ma non uguali.

La teologia di Gesù Bambino

Perché la questione non sono solo le statue, tre anziché una, si tratta di qualcosa di più grosso, “teologico” direi: Gesù è solo per te? Non è anche per me? Per chi è nato, duemila anni fa?

È sì di tutti, ma io ne incontro ogni giorno uno mio, con cui ho la mia storia d’amore. Da qui la domanda, forse banale, forse all’apparenza infantile, ma così penetrante, a mio avviso: quanti Gesù nascono a Natale? Quanti ne sono nati lungo la storia del cristianesimo?

Quelle tre statuine insegnano a me, questa volta, che proprio perché il figlio di Dio è per tutti, ognuno instaura una relazione personale con Lui, nella propria vita, nelle stanze del proprio cuore. La relazione che avrò io con Lui non sarà quella di un altro, mai, sarà originale e irripetibile. Questo lo hanno capito tre bambine che insieme non fanno ancora sedici anni. Quella statuina rappresenta il loro piccolo, enorme, desiderio di avere, di intessere una relazione a tu per tu con Gesù. È un simbolo tenerissimo e magnifico della loro fede nascente.

Per me e per te

Una cosa simile l’aveva insegnata l’angelo ai pastori quando, apparendo loro, disse “è nato per voi un Salvatore”. Per voi, da intendere non solo come “per voi pastori” o “per voi popolo d’Israele”, ma “per ciascuno di voi”. Per te, per te, per te… e avanti così, fino alla fine dei tempi.

Un evento, questo della Natività del Signore, che non si ripete solo il 25 dicembre, ma ad ogni nuova nascita di ogni nuovo bambino, che, nel suo cammino, avrà modo di sentire anche lui una voce simile a quella dell’angelo e potrà incamminarsi, liberamente, verso la mangiatoia.

Mi fermo un attimo, di fronte a questo presepe, e sorrido. Lo guardo con sconfinata tenerezza, è il presepe vivo di tre bambine, che muovono le statuine ogni giorno come fossero personaggi veri. È il presepe più bello che possa contemplare, frutto della fede di chi già ha intuito qualcosa del prodigio di questa nascita.

Alberto Trevellin (Padova 1988), laureato in scienze religiose prima a Padova, poi a Venezia, è insegnante di religione. Sostiene che i bambini salveranno il mondo e che senza di essi non potrebbe vivere. La mattina, quando si sveglia, guarda verso il monte Grappa, per il quale ha un amore smisurato. Ama camminare tra le alte cime delle Dolomiti, correre in mezzo ai boschi, andare per sentieri sconosciuti. È sposato con una donna che crede affidatagli da Dio e ha due bambine bellissime quanto vispe.

3 risposte

  1. Bellissima meditazione. Io non ho bambini, ma ho 3 statuine di Gesù Bambino, ereditate, e ogni anno devo decidere quale metterò nel presepe.

  2. Poiché mi è stato insegnato che “Natale è tutti i giorni” ho un Gesù Bambino in una culletta di vimini posta sul comodino.
    A questo Bambino ho tolto l’aureola per lasciarlo così com’è, tenero e paffuto, con i Suoi occhi aperti ed un sorriso appena abbozzato.
    Commenti alla creatività delle tre bimbe e al loro modo di esprimere che Gesù è nato per ciascun uomo, specificamente per ciascun uomo.
    Buon Natale a queste bimbe e alla loro famiglia!

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