Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

elefanti

La guerra è una faccenda bastarda, fa la spavalda, è una brutta cafona. Di lei, finora, ho informazioni di seconda mano: non sono mai stato in guerra. L’ho conosciuta per vie traverse tramite i racconti del nonno, ch’è riuscito a scampar alla matta-mattanza di Birkenau; immerso nelle pagine di Mario Rigoni Stern, il sergente nella neve; tramite lo shock fotografico del quale, mio malgrado, sono quotidianamente prigioniero. Di fronte ad una guerra, posso provare simpatia o antipatia per l’uno o per l’altro: per chi aggredisce o per chi è aggredito. Quando provo a farmi un’idea su chi abbia ragione o torto, puntualmente fallisco: non mi è mai chiaro dove stia la linea di confine tra il bene e il male, tra ragione e torto. Ciò che capisco, da inesperto di geopolitica e affini, è quello che ho appreso da un amico d’Africa, col quale ho condiviso gli anni di studio: “Quando gli elefanti combattono, è sempre l’erba a rimanere schiacciata” mi diceva, prendendo pure lui a prestito la saggezza lasciatagli in eredità dal nonno.
Ammesso questo, m’incuriosisce l’andamento di questa guerra che, senza io ci faccia tanto caso, sta abbaiando appena fuori dal cancello di casa mia: una delle cose più ovvie, fossi intelligente, è che l’uomo ucraino di oggi potrei esser io domani, o dopodomani. La Russia, in questa guerra, ha una strategia: ridurre allo stremo, accerchiando, il popolo vicino. L’Ucraina, forse sorprendendo un po’ chi non conosce il suo sangue, ha una sua tattica: resistere, sorprendendo. La Russia dice dove devono stare segregati: in uno spazio sempre più ristretto. L’Ucraina risponde con la sua tattica: “In questo spazio sempre più stretto – pare rispondere – decido io come starci: da ameba o da leonessa”. Non è certo la prima volta che una nazione con una forte strategia militare viene messa alla frusta da un’altra che, piccola, risponde con una tattica micidiale. Lo stratega ha la prestanza fisica, il tattico ha l’agilità. L’ho rivista, questa tecnica, l’altro giorno: da una parte i russi con i loro missili ipersonici, dall’altra una signora ucraina che, offrendo una torta a dei soldati russi, li avvelena con astuzia. Carri armati arroganti contro trattori agricoli.
Mors tua, vita mea. Siamo in guerra: prima la pelle poi i discorsi.
Da ignorante in materia, mi piacerebbe vedere in guerra i due capi, quelli che mandano in guerra gli altri: (co)mandare ad uccidere è una cosa, uccidere dopo aver visto qualcuno da vicino prima di sparargli è un’altra cosa. Invece no: loro coperti, gli altri al massacro. Come sempre: con il solito “ancora un piccolo massacro e tutto andrà per il meglio”. Ogni tanto, alla storia, ridico: “Che palle!”

(da «Specchio» de La Stampa, 27 marzo 2022)


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