Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

frittelle

Sono una delle accoppiate più curiose di tutto l’anno solare. Ogni volta che ritornano, l’osservazione è buffa: “Dalle stelle alle stalle, nel giro d’un giorno”. La coincidenza, d’altronde, è tutt’altro che banale: il martedì “grasso” e il mercoledì “magro” – quello delle Ceneri – viaggiano da sempre vicini. Cambiano i giorni, le settimane, i mesi in cui cadono, ma nulla che riesce a spezzare il cordone che li tiene uniti. Eppure, a guardarli separatamente, non hanno assolutamente nulla in comune, se non il fatto d’essere esattamente agli antipodi. Due opposti.
Il martedì grasso è ritrovo, memoria, goduria assoluta: frittelle piene zeppe di zabaione, crostoli quotati come barili di petrolio, maschere acutamente costruite per procurarci un’altra identità. Il martedì grasso è l’ammissione, senza più dubbi, del profondo bisogno di non essere noi stessi, almeno per un giorno. Quasi che sulla nostra vita, il martedì grasso, premessimo il tasto “still”, come per i video e la musica, per fare in modo che vada in pausa almeno un giorno, e ci lasci l’autorizzazione scritta di poter fare tutto quello che negli altri 365 giorni ci è vietato: o, tutt’al più, ci sentiremmo in colpa di poter fare senza freni. Il fatto è che, a carnevale, ogni scherzo vale: anche quello di (non) essere più noi.
L’indomani, per uno scherzo del calendario, il microfono lo prende in mano la liturgia: “Mercoledì delle Ceneri” c’è scritto all’indomani del “Martedì Grasso” nei calendari. La cenere sul capo invece che la maschera addosso, il digiunare al posto delle frittelle allo zabaione, le vesti a lutto del sacerdote al posto delle maschere coloratissime del carnevale. “Sempre detto che la Chiesa vuol vedere gli uomini tristi. Questa cenere è un po’ retrò, per amanti del vintage!” potrà pure obiettare qualcuno. Più che ad una forma triste di vintage, quest’accoppiata tra la sfrenatezza (concessa) del martedì e l’austerità (consigliata) del mercoledì, a me richiama il gesto che al nonno, in cantina, toccava fare spesso: “sfiatava” la botte di vino perchè, altrimenti, rischiava di scoppiare. “Bisogna farla respirare, altrimenti scoppia se non la si sfiata!” era la sua spiegazione vinicola.
In meno di quarantotto ore, si passa senza tante sfumature dallo zabaione alla cenere: dal (bi)sogno di non essere noi stessi al sogno di scoprire chi siamo noi stessi. Il martedì, alla bilancia, s’aggiunge peso: il mercoledì lo si toglie. È la legge dello scultore il lavorare per sottrazione. È anche il sogno proibito di tanti: “Da lunedì inizio la dieta!” che poi non inizia mai. La liturgia, quatta-quatta, non fa altro che aiutare ad iniziar questo sogno: di eliminare il superfluo per scoprire il necessario. E non fuggire dalla nostra storia travestiti con qualche maschera.

(da «Specchio» de La Stampa, 27 febbraio 2022)


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