pingpong
Se n’è andato da casa sbattendo pesantemente la porta. Se n’è andato via dal padre, dalla casa del padre, chiudendogli la porta in faccia, chiudendosi la porta dietro. D’ora innanzi non vorrà più saperne di spartire la libertà con quella di altri: “Questa casa è peggio di una prigione!” – sembra di sentirlo mentre ficca nello zainetto la sua parte d’eredità. Date tempo al tempo e gli accadrà, perchè le circostanze glielo faranno accadere, d’accorgersi che, in realtà, non era mai stato così libero come dentro la casa di suo padre. “Un giorno rincaserà, vedrai – si dice tra sè il Padre guardandolo allontanarsi -. E io lo riaccoglierò”. E’ padre per davvero. A casa sua, da subito, ha deciso per il governo della libertà: non ci potrà essere gioia senza libertà, libertà d’andarsene via. E’ l’amore: «Certi amori non finiscono mai – canta A. Venditti -. Fanno dei giri immensi, poi ritornano». Giri immensi, vagabondaggi nei quali sperperare il capitale di una vita «vivendo in modo dissoluto». Per finire a pascolare i porci: il giovane che sognava d’essere libero, è divenuto schiavo. Nulla più è capace d’accendere la passione per la vita dentro il suo cuore, «tutto passa senza lasciare traccia» (J. Carron). Si è fidanzato con donna-noia, la più foresta nella casa di suo padre, laddove non era obbligato a dimostrare nulla. Adesso ha perduto tutto. Perso se stesso.

Tutto, eccetto la memoria di papà: “Tornerà: finiti i soldi tornerà, vedrai che tornerà” dicevano gli amici a quel vecchio mai scocciato nell’attesa. Per tornare tornò, ma non per un difetto di soldi. Rincasò per un eccesso di pane, in virtù di un fotogramma che si accese improvviso, inaspettato: «Quanti salariati a casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!» L’immagine di un pezzo di pane a disposizione: quanto gli basta per avvertire una mancanza, darle un nome, farla diventare preludio di una presenza. «Mi alzerò». Quel pane è forzuto, pensarlo è rinvigorirsi, desiderarlo è alzarsi. E’ pane da giocarsi, non è pane con cui giocare. E’ il pane di frà Cristoforo, la pagnotta dell’Eucaristia, la risposta di Cristo alla promessa: “Non t’abbandonerò mai, nemmeno quando tu mi abbandonerai”. Ha perduto tutto, ha profanato la libertà, ha offeso il destino: gli è rimasto il cuore, che gli parla di casa. Quel pane è interruttore: lo preme di nostalgia, s’accende la luce in strada: «Si alzò e andò da suo padre». Torna da quel padre che, quand’era a casa, pensava fosse un aguzzino. Che, mentre andava perdendosi, da lontano l’ha sempre tenuto nel mirino degli occhi suoi, di giorno e di notte. Poi, un giorno, è l’annunciazione della vita: “Eccolo!” E la risposta del padre all’annuncio: “Eccomi, sono ancora qui!” Quei passi lontani gli sono familiari, l’andatura da “è tutto suo padre”, lo sguardo fisso a terra ch’è dei pentimenti, la mestizia in volto: «Padre, ho peccato verso il Cielo, davanti a te». Gli parla con le parole, il padre già gli ha parlato con i gesti, quelli semplici e folli dell’amore bambino: «Lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». Poi, sentendolo parlare di peccato, gli rispose col linguaggio della festa: «Presto, facciamo festa». La festa del gran-ritorno: tavola imbandita.

Una festa guastata dall’altro fratello: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando». C’è sempre qualcuno che non è capace di gioire per la felicità altrui. «Questo tuo figlio» è complemento di allontanamento, non è più mio-fratello. Il padre non ci sta: «Questo tuo fratello» è complemento di avvicinamento, complimento di pacificazione. Fuori di casa stanno giocando una partita di ping-pong: “tuo-figlio, tuo-fratello, tuo-figlio, tuo-fratello”. Vincerà il padre: «Il Signore preferisce a qualsiasi cosa la resa d’un cuore che, avendo consumato le strade, toccato il limite estremo della miseria, ritorna cosciente di essere nullità» (F. Mauriac). Sono storie, quelle di Cristo, che finiscono sempre così: il lontano che rientra, il vicino che si adira. Non ha bisogno di continuarle: il fuoco è acceso. Per i devoti regolari la misericordia sarà sempre un’ingiustizia.

(da Il Sussidiario, 30 marzo 2019)

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”» (Luca 15,1-32).


Editoriali della Quaresima
Mercoledì delle ceneri, «Me ne starò tutta la Quaresima sotto il pergolato», 6 marzo 2019
I^ domenica di Quaresima, «Migliorarsi sfidando il meglio del peggio», 10 marzo 2019
II^ domenica di Quaresima, «I raccomandati (mancati)», 17 marzo 2019
III^ domenica di Quaresima, «Contratti (solo) a tempo determinato», 24 marzo 2019

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