A tradirli furono i loro nomignoli: pietra e figli-del-tuono. La pietra è materia dura, massiccia, basamento di sicurezza. Il tuono è accento che rimbomba, ha spessore in materia, insidia il cielo come i timpani. Pietro l’han soprannominato pietra: più atto di fiducia che constatazione di capacità, «è la plebe che aspetta vicino ad un’aristocrazia che spera» (G. Papini). Giacomo e Giovanni al tuono fanno il solletico: sono «figli del tuono» più per ironia di carattere che per meriti acquisiti in battaglia. I tre sono una sorta di triumvirato prediletto del Maestro: sono loro a salire col Cristo fino sulla cima della gobba del Tabor. Giù, assieme al resto della ciurma e al terrorista di Satana, l’ansia li aveva traditi: “E se Dio ci stesse mentendo? Che ne sarà di noi, nel caso?” Gli sorridevano certo, ma era uno di quei sorrisi posticci e non c’è nulla di più assurdo di un’allegria forzata. Li portò in alto, dunque: tre a nome di dodici. Non i più santi, non i più peccatori: anche stavolta scelse Lui chi volle portarsi appresso. Li vide arruffati, con un filo di tragicità cucito nelle occhiaie smunte dai pensieri: la cosa tragica, quaggiù, non è la tragedia in sé ma il non avere nessuno a cui raccontarla. Scelse di portarli verso l’alto: non perchè il mondo fosse brutto e cattivo ma perchè, per cercare il meglio, occorre imparare a rinunciare alle cose buone. Eccolo, eccoli: «Salì sul monte a pregare».
Ad accendere la luce per illuminare a giorno la storia di tutti.
Pregare non è imbastire giaculatorie: la seconda è operazione di labbra, la prima è manovra di occhi. E’ contemplare Iddio lasciando che ci guardi Lui, per riuscire a guardare il mondo con occhi divini. Lui è punto-panoramico, noi siamo mendicanti, gente foresta alla quale è concesso il diritto di sosta sul suolo del suo sguardo. E il mondo, guardato da quella postazione, è fuoco mescolato a pietra, fiammate, calcestruzzo. Ai tre apparve chiaro che con la grazia divina non avrebbero potuto giocare: assai delicata è la faccenda di essere ingabbiati in una predilezione celeste. Ciò che avvertirono fu di vivere con la grazia di Dio a fior di pelle. Lo videro per com’era: affidabile, non-menzognero, amico certo. Lo capirono da come si sentirono. Ascoltandosi, Lo ascoltarono: il Dio s’era fatto evidente. Si erano fatti quasi simili a Dio nello sguardo, materia di imitazione: «Guardate a Lui e sarete raggianti – recita il salmista – i vostri volti non dovranno arrossire» (Sal 34,6) “Nulla unisce quanto il dispiacere” sostiene Lucifero. “Non c’è nulla che unisca quanto una gioia condivisa” evidenzia a loro Cristo, in presa diretta. Ai tre, sulla cima del Tabor, fu resa chiara la destinazione ultima del loro vivere e «l’uomo è felice quando ha chiarito lo scopo della sua vita» (L. Giussani). E’ l’incertezza della destinazione a togliere all’uomo la forza del cammino, la disponibilità alla fatica. La certezza d’avere una storia con Dio in corso.
Nemmeno lassù quel cagnaccio di Lucifero li mollò. Anche lassù, mentre stavano a spasso con Dio, cuce loro addosso l’istinto, risveglia la bestialità. Quassù è troppo bello: tutto semplice, manifesto, illuminato. Perchè tornare nella penombra, tra i casini e le contese, a far sbattere lo spirito contro la materia? Capiterà sempre così: chi promette fedeltà a Cristo prima o poi Lo tradirà, tradendo le sue intenzioni. Scelti per guidare, tentarono d’impossessarsi di quella luce. Salvati (dalla disperazione) per guarire, proposero di fregarsene degli altri laggiù. Amati per amare, scelsero di fraintendere la legge dell’amore, quello di ridonarlo. Sparisce la luce, rimbomba la voce, che è la luminosità delle parole. Tornano giù, torneranno tra la gente dalla quale furono presi. Con un fastidio in meno, una certezza in più: l’Uomo è affidabile. Per un istante hanno contemplato la storia attraverso gli occhi di Dio, han veduto quale sarà l’approdo ultimo. Nella disparatezza degli eventi godranno della dolcezza di quel sorriso e gli ostacoli diverranno occasioni di santificazione. Di liberazione.
(da Il Sussidiario, 16 marzo 2019)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto (Luca 9,28-36).
Editoriali della Quaresima 2019
Mercoledì delle ceneri, «Me ne starò tutta la Quaresima sotto il pergolato», 6 marzo 2019
I^ domenica di Quaresima, «Migliorarsi sfidando il meglio del peggio», 10 marzo 2019)