Sono andati fuori di testa. Hanno visto sangue scorrere, avvertito grida da sotto la torre, udito lo spavento di cinquantuno bambini rattrappiti dentro uno scuolabus. Hanno visto la morte in faccia e ci sono caduti dentro: “Chi, tra loro, ha peccato per meritarsi così grande condanna?” Questo, sotto-sotto, chiedono certuni al Cristo: “Perchè li hai castigati così? Quale peccato han commesso?” Chiedono a Dio perchè abbia creato la morte. Così facendo, però, dimostrano di essere caduti dentro la gattabuia delle coccole di Lucifero, il professore con cattedra fissa all’università della fregatura: «Per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo». Era fuori, dunque, la morte: è entrata dopo. D’allora niente più sarà come prima, che nessuno s’illuda: «Ne fanno esperienza coloro che le appartengono» (Sap 2,24). L’agenda di Dio è fittissima d’impegni: la salvezza dell’uomo è un cantiere sempre aperto. Figurarsi se Dio, l’artigiano della vita, ha tempo da perdere con mattanze, torrette e terrore: nell’agenda di Dio l’uomo è il pensiero scritto in copertina, salvarlo è la missione di tutta la sua vita. La domanda – “Chi ha peccato?” – è stata posta malissimo: non è il peccato il cuore della storia di Dio, è la salvezza. Il peccato – che è fallire il bersaglio – è il perno dell’agire di Satana: gelosissimo di Dio, non gli rimane che smerciare per peccato altrui ciò che frutto della sua invidia. Geloso dell’arte d’amare di Dio: dei suoi rammendi e ripari, dei raccordi e delle cuciture, dei rimedi e dei rattoppi coi quali rimette in sesto la creatura sformata. Lucifero, fessacchiotto per x che tende all’infinito, non capisce che Dio non ha tempo da perdere per vendicarsi delle truffe che gli addossa: la sua agenda è piena di vita da riparare. Di fiducia da accreditare.
Spiace annunciare a Satana che Dio è come quei paesini di montagna, coi vicoli stretti nei quali puoi ancora lasciare la chiave sulla porta: «Mio padre – ha scritto Jim Valvano – mi ha fatto il più bel regalo che qualcuno poteva fare a un’altra persona: ha creduto in me». Nessun sterminio, dunque: Gesù fa strage della morte, è la rovina di Lucifero e dei seguaci di lui. E’ contadino al servizio di un Dio-vignaiolo: «Sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo». Il Padrone ha i nervi a fior di pelle: quell’albero ne approfitta della terra che lo ospita, si prende gioco del concime, non è affatto riconoscente al padrone: «Taglialo!» Punto-esclamativo: è ordine, imperativo, tempo scaduto. Il Padrone è stanco, furibondo, anche deluso. Quel campo, però, il padrone lo ha dato in sub-appalto ad un contadino. Che, prima di prendere la sega in mano e fare di quell’albero legna da ardere, intona un’invocazione di tempo: «Padrone, lascialo ancora quest’anno (…) Vedremo se porterà frutti per l’avvenire». Come dire: “Hai le tue sante ragioni, padrone. Fidati di me, però: mi fido di lui ancora un anno”. Il contadino ha un’iradiddio di fede, conosce assai la fiducia: alcune volte è come un libro che abbandoni. Poi ci riprovi e t’accorgi che il segnalibro è fermo esattamente una pagina prima della parte più bella. Proprio una stagione prima della fioritura, del grande raccolto. Non è per nulla scimunito il contadino: la fiducia è l’unico regalo che non riceverai due volte, «altrimenti lo taglierai». E’ il potere umano, la forza della natura, «ogni potere umano – scrive H. de Balzac – è composto di tempo e di pazienza». Dio-contadino: non mette fretta, invita a mantenere la parola data almeno entro questa vita. Che è il prossimo anno.
E’ lettera-raccomandata per me. Promemoria per i miei trentanove anni, la numerazione della misericordia del Dio-contadino verso di me, mentre la calma del Padrone è smunta: “Lascialo ancora un anno! (ripetuto trentanove volte)”. E’ l’astuzia di Dio quando mi ha assunto: proponendomi un contratto a tempo indeterminato temeva mi adagiassi, poltrendo nel sofà. Lui firma sempre e solo contratti a tempo determinato: fiducia-verifica-fiducia. Moltiplicati in numerazioni di misericordia. Mai mi sono sentito così “fico” come alla fine di questo Vangelo.
(da Il Sussidiario, 23 marzo 2019)
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”» (Luca 13,1-9).
Editoriali della Quaresima
Mercoledì delle ceneri, «Me ne starò tutta la Quaresima sotto il pergolato», 6 marzo 2019
I^ domenica di Quaresima, «Migliorarsi sfidando il meglio del peggio», 10 marzo 2019
II^ domenica di Quaresima, «I raccomandati (mancati)», 17 marzo 2019