Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
nodo – knot

Davide, l’intoccabile

Davide è Davide. Il re per antonomasia. Il pastore che si occupa del proprio gregge e lo conduce ai pascoli migliori. Il giusto. La stirpe dal quale attendere il Messia. Per un ebreo, Davide è una sorta di intoccabile, tanto è importante il suo nome, per la storia d’Israele. Eppure, anche Davide si lascia irretire dal male. E, per giunta, da quello più vile. Scoprirà, anche lui, la vita che sgorga dal perdono.

La parabola del profeta

Sarà necessario l’intervento di un profeta, Natan, perché Davide “torni in sé” e comprenda la gravità del male compiuto. Probabilmente, all’inizio, non se ne rende davvero conto. Non ha fatto altro che assecondare i propri impulsi, innescati dalla grazia femminile della moglie di Uria, approfittando della propria posizione di comando.

Così, quasi spuntando, misteriosamente, dal nulla, arriva il profeta Natan e inizia ad esporre un racconto avvincente e ricco di dettagli. Il racconto di un uomo, povero, la cui unica unica ricchezza è rappresentata da una pecorella, che ama di cuore. Questa gli è sottratta da un prepotente, ricco, che avrebbe potuto avere tanti altri beni, senza infastidire quel povero, che non possedeva altro.

Un uomo degno di morte

«Per la vita del Signore, chi ha fatto questo è degno di morte» (2Sam 12, 5)

Questo il veemente commento che il re Davide, ignaro, riserva all’uomo protagonista del racconto. Ignaro di essere egli stesso il protagonista, al centro della narrazione.
Perché l’avvincente racconto ha in realtà l’obiettivo di farlo riflettere sul proprio comportamento, appena messo in pratica. Perché, invaghitosi, di Betsabea, moglie di Uria l’ittita, prima la seduce, poi tenta – invano, perché l’uomo è troppo integerrimo per cedere alle lusinghe – di convincere il soldato a giacere con al sua spesa, mentre i compagnsono in battaglia, infine, rassegnato, pur di celare lo scandalo, decide di sacrificare uno dei suoi uomini più valorosi, mandando Uria in prima linea, inaugurando, di modo che fosse la spada degli Ammoniti ad abbattersi sul suo capo.

Lo specchio di una vita

«Tu sei quell’uomo!» (2Sam 12,7)

Tale è la rivelazione che attende il re. Essere un uomo degno di morte, un colpevole che dovrebbe “[pagare] quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non averla evitata”1. Perchè quella storia ben congegnata altro non era se non l’escamotage letterario del profeta per ammonire il peccatore, incamminato nella via della stoltezza2. È lui ad aver sopraffatto Uria, sottraendogli con l’inganno la moglie, solo per soddisfare un proprio appetito, nonostante potesse a qualunque altra donna, in tutto Israele.

Dio non può tacere di fronte al male, ma non si adegua comunque allo stile dell’uomo. Rimane Dio. Rimane differente, per cui sottolinea: “tu l’hai fatto in segreto, ma io farò questo davanti a tutto Israele e alla luce del sole” 3.

Davide, il cui peccato è rimosso

“Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai” (2Sam 12, 11)

Il male ha sempre delle conseguenze. La conseguenza-principe del peccato è la morte, perché è con il peccato originale che essa fa il suo ingresso, nella vita dell’uomo. Ciò non equivale, però, a sostenre che vi sia una correlazione, diretta e biuivoca, tra il peccato e la morte.
Così, Davide non morirà a causa del proprio peccato. L’intervento profetico non è stato inutile: il re ha compreso l’errore, la viltà, l’infamia che hanno accompagnato la sua caduta. Ha trovato il coraggio di guardarle innanzi a sé, di non sottrarsi all’inquietudine che trasmettevano. Ha deciso di guardarle in faccia, ma per allontanarsene.

Rimosso, non significa annullato

Solo così, facendo in questo modo, il re Davide può avere la meglio sul peccato compiuto.

Ma non basta accorgersene! Rimosso, non significa annullato. Pagherà un innocente, precursore del sacrificio dell’Innocente per antonomasia, Cristo, figlio di Davide, figlio di Dio.

L’indulgenza plenaria

Attingendo alla sapienza biblica, la Chiesa ha approfondito la dottrina rabbinica riguardo al peccato. Nel Vangelo emerge chiaramente, in varie pericopi4, come rivendichi, in modo peculiare, la funzione di remissione dei peccati. È Cristo che affida alla Chiesa di continuare il compito. Non è nel proprio nome, ma per ordine di Cristo e nel Suo nome, che la Chiesa “scioglie e lega”5. Compito sublime, misterioso, che porta con sé responsabilità, nella consapevolezza, però di affidarsi alle Sue mani e al Suo perdono. Così, se, all’inizio, il perdono dei peccati era affidato al sacramento del Battesimo, a poco a poco, iniziò ad emergere la “penitenza tarrifata”, la confessione frequente e, con il tempo, anche la possibilità di lucrare indulgenza, per sé o per altri, tramite il Tesoro della chiesa, che sono i meriti di Cristo, l’Unico Innocente, in grado di rimettere i peccati di ogni uomo e del mondo intero.


Per approfondire: “Scusa”: il coraggio di una parola

Gli eventi di quest’anno, in Porziuncola

Breve sintesi della storia e delle condizioni dell’indulgenza della Porziuncola (Perdono d’Assisi)
Famiglia Cristiana – il perdono d’Assisi

Rif. Prima lettura, nella IX Domenica dopo Pentecoste: (2Sam 12, 1-13)

Fonte immagine: Pexels


1 2Sam 12, 6
2 Cfr. Prv 12, 15
3 Sam 12, 11
4 A titolo di esempio: quando guarisce un paralitico (Mt 9, 1-8), quando si rivolge alla peccatrice (Lc 7, 36-50)
5 Mt 16, 19

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