Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
gun shooting

Una corsa contro il tempo: testimoni e persone informate sui fatti da interrogare, una vita intera da scandagliare. Alla disperata ricerca di una ragione, di un motivo da addurre al folle gesto che, il 2 ottobre scorso, a Las Vegas, ha trasformato un concerto country in una carneficina.
Nell’illusione che possa cambiare qualcosa ogni altro elemento utile aggiunto ai precedenti.
Del resto, se ci pensiamo, è così per tanti eventi. Un esempio è rappresentato dai suicidi. Il cruccio maggiore, che ci lascia inquieti e senza requie è l’incapacità di comprendere simili gesti. Quando l’incomprensione prende il sopravvento, ne siamo come schiacciati e tendiamo ad accomunarli, mentalmente, a quelle calamità naturali di cui non riusciamo (pienamente) ad assimilare la portata ed il grado di prevedibilità.
La violenza – è inutile negarlo! – fa parte (da sempre) della storia dell’umanità. Non rappresenta il nostro lato migliore, tuttavia, appartenendo anche noi al regno animale, non possiamo considerarci del tutto alieni dal praticarla e, in determinate circostanze, poi, ci viene persino da pensare che sia assolutamente inevitabile. È, tuttavia,  ormai opinione comune, in generale, che essa sia da considerare extrema ratio, da utilizzarsi solo in casi di estrema necessità, a difesa della vita.

Anche chi non condivide la scelta del suicidio, riesce a provare empatia, se chi lo commette è, ad esempio, un disoccupato pieno di debiti. Pur non avallando tale scelta, è infatti possibile sentirsi prossima a quel senso di smarrimento, impotenza, annichilimento di fronte alla sensazione di inutilità ed incapacità di badare alla prole che, spesso, attanaglia chi arriva a compiere tale scelta estrema.
Parimenti, non è difficile comprendere come la reazione più immediata ed istintiva di fronte ad un figlio o una figlia violata possa essere l’utilizzo della violenza contro l’aggressore, se individuato.
Il male “giustificabile” è molto più rassicurante: riusciamo a comprenderlo, a trovare nessi di causa – effetto, dunque ci risulta quasi normale, logico. Non è scontato od inevitabile, ma  si tratta di qualcosa di cui il nostro cervello è capace (nel senso letterale: cioè, tale concetto riesce ad entrare nei nostri schemi mentali e non li oltrepassa). Al contrario, rimaniamo smarriti e senza punti di riferimento, di fronte al male che pare ingiustificato (e, ai nostri occhi, ingiustificabile): oltrepassa la nostra comprensione e questo ci annichilisce e ci fa sentire impotenti. Possiamo comprendere facilmente lo svolgersi di una faida familiare, a fatica possiamo arrivare ad immaginare che capiti un episodio di follia improvvisa , compiuto da qualche insospettabile
Ma come vendicare chi non conosci? È difficile poterselo immaginare, almeno quanto pensare di perdonare chi ha compiuto un male grave nei nostri confronti o nei confronti dei nostri cari! Ecco perché vacilla la logica delle spiegazioni sociologiche del terrorismo delle “seconde generazioni” che compie azioni violente e sanguinarie come a Nizza (14 luglio 2016) o a Rouen (25 luglio 2016).
Il caso di Las Vegas, poi, è qualcosa di diverso e peculiare. Non è il gesto inconsulto di un folle che, all’improvviso, spara all’impazzata sulla folla. Non sarebbe né la prima, né l’ultima volta. Né negli Stati Uniti, né altrove nel mondo. Ciò che sconvolge è proprio la dinamica premeditata con cui è avvenuta la strage, che, tuttavia, non risulta in alcun modo influenzata da alcun fondamentalismo politico o religioso, stando, almeno, a quanto affermano i suoi familiari, in particolare il fratello.
Cosa ha spinto, dunque, il sessantaquattrenne americano a sparare sulla folla? Qual è il movente di questo gesto? Gli inquirenti sono ancora nel pieno delle indagini e, pur non escludendo la pista terroristica, si rendono conto che non può essere l’unica da seguire.
Dinamiche di questo tipo “ci superano”: non riusciamo a catalogarlo in nessuna delle categorie esistenti. Siamo attoniti e sopraffatti, ci prende una sorta di horror vacui che ci attanaglia le viscere e, impedendoci di essere lucidi e razionali, ci lascia in balìa dell’emotività che scatena simili eventi. “È la disperazione che distrugge il mondo” (La storia infinita): ecco perché un americano che spara sulla folla non è diverso da un terrorista islamico. Se la mia vita e quella degli altri sono talmente “nullificate” da essermi del tutto indifferenti, sto già navigando in quel nulla che questa stessa società tende a propinare, nel magma di una cultura dell’indifferenziato e del relativismo.
Paradossalmente, proprio nella sua sua assenza di senso, episodi come quello avvenuto negli USA qualche giorno fa si trasformano in una rivelazione, che mette in luce l’essenza del Male, incapace di creare il bene, ma solo di spegnere la speranza, di uccidere la vita e distruggerne la bellezza.
A ben guardare, però, ci rendiamo conto anche che, al di là della sua apparenza, il male, al di là dei singoli episodi, è – per definizione –  ontologicamente folle, dal momento che, in ogni caso, il primo ad esserne colpito è – sempre e comunque – il colpevole stesso.
Per questo,  quindi, ogni spiegazione è – a dire la verità – sempre effimera, perché il Maligno tira fuori il peggio di noi, lasciando nascosto il nostro io più vero e profondo, quello in cui possiamo ritrovare l’immagine che Dio ha impresso in noi.
Eppure, la nostra personale responsabilità è sempre una risposta di libertà possibile verso il bene, il bello e il vero, attraverso la quale, al contrario, riusciamo a grattare via la patina che arrugginisce la nostra vera essenza, fino a ritrovare, tramite la speranza, quella per cui siamo stati creati!

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 (Fonte fotografica: Gun shooting)

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