Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Cristo rincasa dai campi. Dopo tre domeniche passate tra i filari dei vigneti – a parlare di come funziona il Regno di lassù, dispiegandolo tra le pieghe delle storie di quaggiù – oggi indossa vestiti di festa. Come il nonno che, all’indomani della vendemmia o della mietitura – organizzava una gran festa per sorridere al raccolto. Il Vangelo è a-trazione-agricola: a lavoro terminato, s’inizia a ballare. Il motivo, stavolta, è superiore alla vendemmia: c’è il figlio che si sposa e il Padre, che è un Re, organizza una festa, «una festa di nozze per suo figlio». La festa – mangiare, bere, raccontarsi la vita – è la caratteristica prima del Dio cristiano. A nulla Gli valse l’accusa d’essere mangione, beone: Cristo conosce solamente ragioni di festa. Il vangelo è un paese in festa: «Una volta volevo diventare ateo – scrisse H. Youngman – ma poi ho rinunciato: non hanno feste gli atei». Per avere feste, sono necessari motivi per far festa: Cristo ne possiede un’iradiddìo.
L’unica variabile giunge dagli invitati. Dipendesse da Lui, Dio-in-festa, ogni motivo sarebbe valido per brindare: un figlio che ritorna, una perla ritrovata, una storia riparata, una donna sanata, un amore ricucito. Un Dio innamorato. Il fatto è che, stranamente, non tutti sanno far festa: «Mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire». L’invito è partito, l’invitato è rimasto ai blocchi di partenza: «Chi al proprio campo, chi ai propri affari». Ancor peggio: «Altri poi presero i suoi servi, li insultarono, li uccisero». La motivazione è davvero strana: s’indignarono perché invitati. C’è anche gente che s’impegna per rovinare una festa. C’è gente che, tra sé, pensa d’essere così importante da riuscire, rifiutando l’invito, a mandare in malora un’intera festa: “Sono troppo impegnato per poter venire a cena da te. Chiedo scusa: ho già un altro invito, più importante. Se solo me lo dicevi ieri: adesso proprio non posso”. Nulla è più amaro, per gli organizzatori di una festa, di vedersi la sala vuota con le porta tutte spalancate: “Non è degna, casa mia, d’accogliere gente così importante?” Il Vangelo è volto di madre piangete: volevo fosse festa, è tutto sangue-e-rifiuti.
Cristo – Festa del cuore, (ora pro nobis) – mai s’arrende: nessun uomo, tra quelli che si son messi e si metteranno di traverso – riuscirà a far chiudere i sogni spalancati di Dio. Lo costringeranno a fare zig-zag, ad allungare la strada, ad aumentare il ritmo. A svelarsi per quel che è davvero: il Dio delle sorprese, il Dio in agguato. Provocato dal rifiuto, accelera in amore: «Andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze». Eccoli gli invitati: da molti sono diventati tutti. Gli illustri volevano mandare gambe all’aria la festa, han guadagnato un’iradiddìo di meraviglia, di rimpianti. Guardate lo spettacolo: i nuovi invitati arrivano dagli scantinati, dai nascondigli, dalle scarpate, dai tuguri polverosi di periferia. Gente dei cassonetti, lavavetri e mendicanti, gente con le occhiaie smunte dal troppo patire. Danno forma al sogno del Re: «La sala delle nozze si riempì di commensali». Rifiutato dai suoi, Dio prende-casa altrove: «La sua vera gioia è di rivelarsi a dei poveri uomini schiacciati da colpe abituali, e d’aprire sotto i loro passi un abisso di misericordia e di perdono» (F. Mauriac). Ciò che chiede è una cisterna d’imbarazzi: “Lasciami fare qualcosa per te”.
Anche il Re entra in sala: Gesù narra un Dio vicino, seduto proprio accanto a me, fianco-a-fianco. Sta qui, non lassù: nei giorni di festa e mestizia, in giorni di lacrime e sorrisi, di tremore e stupore. Un Dio attento ai più piccoli particolari: «Scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale». Hanno tutti l’abito nuziale addosso. Il povero se l’è fatto prestare, il cencioso s’è voltato la tunica, la donna ha affusolato la sottoveste come fosse una gonna damascata: sono tutti in festa alla festa. Uno solo è senza vestito: forse non ha ancora capito il motivo che spinge Dio a imbastire un festa: «Legatelo mani, piedi e gettatelo fuori». Non credere che Dio goda a festeggiare i poveri, è venir cacciati dalla Sua festa.

(da Il Sussidiario, 14 ottobre 2017)

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: 
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti» (Matteo 22,1-14).

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