Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

cambiamenti in amore
Botte, botte e ancora-botte
: iniziano così, finiscono così, le più sanguinose vicende di cronaca nera, di giustizia fai-da-te, sangue ripagato, mal-pagato, con la stessa moneta: il sangue. Botte, botte e ancora-amore: è la finale della storia più strana, ambiziosa e paradossale mai confidata sotto la volta celeste: quella di un Dio che, parlando di sé in terza persona, non trova immagine più densa di significato che eclissarsi, ennesima volta, dietro l’alfabeto agreste della vigna, di un vignaiolo, di quattro mezzadri ai dare in affitto quella vigna. È una vigna desiderata, comprata, coltivata: «La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre». Mica una terra qualsiasi, un vitigno nella scarpata, quattro rami a proteggerla. No: come protezione una siepe, un posto per posare il torchio, una torre-di-controllo giusto nel mezzo. Quando Dio è all’opera, nulla è affidato al caso: o è disposto ad esagerare – nei dettagli, nelle misurazioni, nelle ricompense – oppure Dio, in amore, non s’alza nemmeno dal letto. Rendere felice l’uomo è il suo eterno sogno di Dio-bambino: «La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano». La fantasia creatrice di Dio è per la condivisione: la gelosia distruttrice di Lucifero nasce sempre dall’accumulo. Dal tentativo di far-proprio ciò che proprio-non-è: la felicità sognata da Dio per noi.
Sono vigne in affitto, anche la mia è una storia d’affitto: pensarsi padroni di una storia, di una terra – “Padroni a casa nostra” – è furto-aggravato di proprietà: “Siamo diventati foresti a casa nostra” è complimento di identità. La terra non è nostra: siamo viandanti-ospiti di un tratto di strada fatto di tappe minuscole. È la storia grande ad essere maiuscola: il minuscolo, quand’è fiero d’appartenere al maiuscolo, diviene maiuscolo pure lui. È eredità-ereditata, mica guadagno con forze proprie. Lucifero, predatore di vigneti, mai accetta l’essere Dio-minuscolo: dunque «presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono». È il primo tempo del sogno di Satana: che Dio s’arrenda, gli ceda quella vigna, accetti l’esproprio di quella terra. Il secondo tempo di Dio: «Mandò di nuovo altri servi (…) ma li trattarono allo stesso modo». Satana non molla, Dio nemmeno. Ci riprova, quel fallito principe-delle-mosche: botte, botte e ancora botte. Ci riprova Dio, con carezze di Padre, giocandosi la paternità: ha un solo figlio, «avranno rispetto per mio figlio». Certe sere Dio ha troppa fiducia dell’uomo, gli accredita percentuali di buon-cuore che l’uomo non vuol giocarsi: «È l’erede, uccidiamolo. Avremo noi la sua eredità». Con il Figlio sgozzato sulla croce – è della sua storia, sotto mentite spoglie, che Gesù Cristo sta narrando – Satana pensa d’aver strappato l’eredità, la vigna, il sorriso di Dio che è il cruccio che lo perseguita. “L’erede l’abbiamo sistemato per le feste: dividiamo le parti”.
L’ennesima autotruffa di Satana a se stesso: chi l’amore colpisce, d’amore perisce. E dell’amore fa parte la gelosia, l’altra faccia del Crocifisso-Risorto: «A voi sarà tolto il regno di Dio». “Amen: almeno abbiamo guadagnato il gusto d’avere seppellito noi il Cristo” – sghignazzano i mezzadri. No, signori: «Sarà dato ad un popolo che ne produca frutti». L’annunciazione di Dio a Lucifero: “La mia vigna resisterà ad ogni tuo attacco-pesticida”. L’ha dipinto il Ratzinger-pittore con tinte d’artista: «Dopo il fallimento dei progenitori, tutto il mondo è ottenebrato, sotto il dominio della morte. Ora Dio cerca un nuovo ingresso nel mondo. Bussa alla porta di Maria» (J. Ratzinger, Gesù di Nazareth). Mandato a morte fuori dalla città, Dio che fa? Mica s’appende: semplicemente cerca un nuovo ingresso nel mondo. Gira-rigira con la lanterna a scovare un pertugio attraverso il quale ritornare ad abitare il mondo, chiedendo ospitalità alla libertà dell’uomo. È la notizia che, a casa-mia, attendevo. Posso dormire sogni-d’oro: i miei disastri non impediranno a Dio di far fruttare la sua vigna. Potrò fare quello che voglio, dunque? Certamente: Dio, facendosi mio ospite, s’è fatto prigioniero della mia libertà. Una sola cosa sarà vietato-fare: lamentarmi se, impadronitomi di Lui, Lo vedrò andarsene perché altri lo stanno desiderando più di me.

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». 
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». 
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Matteo 21,33-43).


 foto tratta da http://static.pourfemme.it/

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