Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
Occhi al cielo. E piedi a terra

 

«Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1, 7-8)

È l’ultimo ammonimento, prima del colpo di scena finale. E gli apostoli, per l’ennesima volta, rischiano di fare la figura dei fessi. Lontani dall’infanzia spirituale che è fiducia incondizionata nel Dio che salva, denotano – ancora una volta – l’infantilismo di chi è incapace di cogliere il tempo, di chi “tira per la giacca” Cristo, aspettandosi ogni volta risposte a nuove domande, ma poco propensi ad ascoltarLo davvero, fino in fondo. Ma è finita la pacchia. Cristo chiede un salto di qualità. Non basta – ormai – andarGli a traino. Ora, sta affidando loro tutto. Ai discepoli impauriti e rintanati nel Cenacolo affida la missione di evangelizzare fino ai confini della terra. Un obiettivo ambizioso, spregiudicato, quasi strafottente. Difficile persino da immaginare, per dei pescatori della Galilea che, probabilmente, non si erano mai allontanati dai dintorni del Lago di Tiberiade.
Probabilmente, si guardano tra loro, cercano conferme di aver capito bene. Il Maestro pare avere sempre obiettivi più lusinghieri di quanto la loro mente riesca ad immaginare, nonostante pare che essi facciano a gara per convincerlo di non essere all’altezza delle Sue aspettative.
Ma non hanno tempo di consultarsi, di fare un brain storming per decidere il da farsi, perché

 […]mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At 1, 9-11)

Ascensione è uno sguardo al cielo. Istupidito, trasognato, trasecolante. Nel frattempo, la mente annaspa, inebetita, e il cuore è in subbuglio. Dire stupito è ancora dire poco.
La piccola ciurma di discepoli, dapprima impaurita, è ora come frastornata. Come incapace di contenere-il-tutto. L’ennesimo capovolgimento di fronte li ha messi k.o.Tanto che è necessario che facciano nuovamente la loro comparsa – come nello scenario della Resurrezione “uomini in bianche vesti” a dar loro la sveglia.
Una parabola di tre anni dietro al rabbi più insolito che la Galilea abbia sfornato. Tre giorni di Passione tra intrighi, tradimenti e fuggi fuggi. La notizia che le donne danno, a cui è difficile credere. Una serie di apparizioni del Risorto.
E adesso?
Averlo visto allontanarsi così, dopo averne gustato “ancora per un poco” la compagnia, sembra quasi l’ennesima beffa. Un colpo di scena da Maestro del teatro.
«Non vi lascerò orfani: verrò da voi» (Gv 14,18): in questa rassicurazione traspare tutta la maternità di Dio, che si oppone alla sensazione (giustificata o meno) di essere orfani. Essere figli è la condizione umana per eccellenza: ecco perché sentirsi orfani rappresenta il dolore per antonomasia. È il senso di abbandono più estremo, che Cristo stronca sul nascere, garantendoci la sua Presenza, ancora oggi sperimentabile in una compagnia di fratelli nella fede e nei sacramenti che ci ha lasciato per placare la nostalgia del Cielo.

 

Rif: prima lettura ambrosiana, nella solennità di Pentecoste, anno C (At 1,6-13a)


Fonte immagine: Pixabay

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