Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Serve la luce giusta per cogliere la meraviglia. Servono momenti particolari, l’alba, la pioggia, la neve, il tramonto, una notte piena di stelle. Non è solo questione di prospettiva e una, due, tre volte spesso non bastano per catturare l’incredibile abbraccio tra la natura e il riflesso del sole. Basta lasciarsi guidare dall’istinto, che si custodisce dentro come un’infallibile bussola che ti porterà a parlare con lei, di lei, la luce.
Tranquillo Cortiana, insieme a Chiara Rampazzo che ha curato i testi, delicati e risonanti, firma il volume fotografico La Piave. Madre edito dalla veronese Cierre grafica (link): una poesia eloquente, a tratti audace, una narrazione per immagini sul fiume caro alla Patria che più di ogni altro rappresenta il nostro Veneto. Cortiana lo fa grazie al riflesso che ha lasciato penetrare dentro al suo obiettivo in un viaggio durato diciotto mesi.
La Piave, come la chiamano ancora al femminile le popolazioni tra i monti che con l’acqua del fiume hanno mantenuto un legame ancestrale, intriso di benedizioni quanto di improvvise catastrofi, viene narrata in cinquecento fotografie. «Tutto è nato un po’ per caso – racconta Cortiana – Cinque anni fa stavo svolgendo un progetto editoriale sulle piazze del Veneto con Pier Paolo Magalotti (Piazze. Luci, arte e poesia nei salotti del Veneto, ndr) e mi ritrovai a Santo Stefano di Cadore accanto al cartello segnaletico “Fiume Piave”. Ma come? Pensai. Un torrentello? Cos’è? Dove nasce? Sembrava così strano che fosse lo stesso fiume che in pianura si allarga, è enorme, straripa, diventa incontrollabile. Lassù appariva così mite e indifeso. C’era la neve, quel giorno, e l’inquadratura era da sfruttare». Con un pretesto, il fotografo vicentino riuscì a metterlo dentro al libro sulle piazze venete, perché sentiva fortissimo il richiamo avvertito in quel momento.
Nel corso degli anni sono stati altri gli indizi che hanno condotto il fotografo vicentino a concentrarsi sull’idea di un progetto interamente dedicato al Piave, come il fermento per renderlo patrimonio dell’Unesco e le celebrazioni per l’anniversario della Grande guerra, che cent’anni fa lo vide protagonista di scontri e battaglie in cui migliaia di giovani soldati, italiani e tedeschi indistintamente, persero la vita tra le sue rive.
«Nel 2018, ad aprile, ho proposto a Chiara di vivere un weekend “campione” lungo il suo corso, andando in bicicletta e a piedi alla foce a Cortellazzo, fra Eraclea e Jesolo, e poi su in montagna alle fonti. Sono state numerose le albe che abbiamo avuto la fortuna di abitare, ma l’incontro più autentico è stato fin da subito con le persone del posto che ci hanno aiutato a scoprire cose intorno al fiume che l’occhio non sa».
Ha inizio così un viaggio a più puntate che ha fatto percorrere al fotografo oltre 60 mila chilometri in macchina in un anno e mezzo per indagare la relazione del Piave con il suo territorio, scoprendo le connessioni naturali e quelle con l’uomo che ne hanno spesso modificato la storia e, anche, il corso, perché – come spiega il naturalista Michele Zanetti, che ha curato l’introduzione all’opera – il Piave è un universo naturale, storico e antropico che Tranquillo Cortiana e Chiara Rampazzo hanno saputo descrivere in un ritratto composito.
Anche la tecnologia spesso è venuta in aiuto all’obiettivo di Cortiana: «Studiavo in anticipo le condizioni atmosferiche e della luce insieme alle prospettive grazie a Google earth, che mi ha aiutato a scegliere le posizioni dove mettermi a scattare. Spesso mi sono ritrovato “pucciato” come un biscotto nell’acqua con le galosce oppure lungo argini deserti e un po’ inquietanti di notte, essendo territori di nessuno, strade familiari soltanto a bracconieri e trafficanti».
Uno dei momenti che Chiara Rampazzo ricorda con tenerezza è stata la prima volta in malga verso la sorgente del Piave, che nasce ai piedi del monte Peralba a poco più di duemila metri d’altezza. «Senza saperlo ci siamo trovati immersi tra il bestiame che scendeva a valle per la transumanza e lì, poco distante, abbiamo assistito allo spettacolo della nascita di un capretto».
La sorpresa poi l’ha colta ancora davanti al suo compagno di viaggio, spesso silenzioso e che fin dal principio si è messo in ascolto dell’acqua, abbassandosi al suo livello, immergendosi in lei. «Sempre a Sappada, in primavera, intravedo da lontano Tranquillo steso a terra, a scattare sul pelo dell’acqua: da lì aveva scorto un riflesso delle Dolomiti che ad altezza uomo non si percepiva».
Per Tranquillo è difficile selezionare uno scorcio di memoria piuttosto che un altro, perché ogni scatto possiede un’essenza profonda. «Per me ha avuto la stessa intensità il giorno della foto, come il cacciatore con la preda stretta nel pugno, quanto il giorno dopo al computer mentre selezionavo lo scatto migliore che mi faceva cogliere un particolare che magari avevo sottovalutato. La flora e la fauna, come i fenicotteri d’inverno, mi hanno poi regalato prospettive meravigliose e c’è voluto più tempo, tornando e ritornando sul posto, diventandone quasi parte, conoscendo luoghi che mai avrei cercato».
Nel libro, il Piave si racconta in prima persona, nel suo fluire di immagini e suggestioni per cui c’è voluta una buona dose di ascolto e consonanza: «Discendere il fiume dalla sorgente alla foce – spiega l’autrice – e poi risalirlo dalla foce alla sorgente, è stato un viaggio intenso e così ricco che davvero solo uno scatto fotografico può raccontare e solo l’ascolto appassionato può condividere.
Ci sono paesaggi, storie e volti che si sono impressi in me per la bellezza e la semplicità con cui esprimono una relazione, quella tra uomo e natura, dove le forze in gioco sono potenti e al contempo effimere e delicate, semplici eppur mai banali, intraprendenti ma non sempre sagge».
Il bilancio di questa avventura alla ricerca della luce è profondo ed elaborato perché mette sempre e comunque al centro l’elemento naturale: «Abbiamo riconosciuto quanto nei secoli il fiume abbia permesso la vita lungo le sue sponde, donando acqua fertile per lo sviluppo dell’agricoltura, energia elettrica, minerali per le costruzioni, ma essendo anche un’eccezionale via di comunicazione. Venezia fu interamente costruita grazie ai tronchi che discendevano la corrente su chiatte natanti di due metri per cinque. L’acqua era cinque volte di più rispetto ad adesso, era un letto ampio che conduceva commerci e ricchezza. Pur nella sua devastazione, Vaia ha dato l’idea di cosa dovesse essere in passato il Piave. In questi diciotto mesi insieme lo abbiamo conosciuto con gli occhi dei neofiti e la scoperta per noi è stata straordinaria».

(Tatiana Mario, da La Difesa del popolo, 12 gennaio 2020)

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