Era di giovedì (santo): ho sciacquato piedi dall’alba a mezzodì. Piedi sporchi: di sudore, su calzini bucati, dentro scarpe slabbrate dall’abuso. Piante di piedi con appese storie di delinquenza, biografie ingiallite di sentenze, unghie svangate di galera: «Il piede umano è un’opera d’arte e un capolavoro di ingegneria» (M. Buonarroti). Nella chiesa della galera, tra la brocca e il catino, stazionano piedi rigorosamente sporchi. Perchè a lavare dei piedi puliti son capaci tutti rinfacciò una bambina al suo parroco dopo aver letto: “Si raccomanda di lavare i piedi dei bambini che faranno la lavanda dei piedi”. Santa bambina, ora-pro-nobis: siamo tutti in peccato per aver ridicolizzato assai la freschezza del Cristo-lavandaio. A chi è chino nel lavare i piedi per conto di Cristo, è vietato guardare quale volto si innalzi da quelle piante sudaticce: che a nessuno venga voglia, adocchiando di chi sono quelle fondamenta, di rifiutarsi di sciacquarle rinforzandole col bacio. Le fondamenta della casa di Giuda, per tutti i secoli dei secoli (Amen), saranno destinate ad essere (ri)lavate: pena il tradimento di confondere la volontà di Dio coi capricci del proprio cervello. Nella galera, ch’è territorio di confine, stiamo tutti in equilibrio su piedi-traditori. Chinato per terra a fare la lavatrice dei piedi – che parlano di scorciatoie, nascondigli, andate senza più ritorni – è tutta un’iradiddìo di piedi che somigliano a quelli di Giuda: vestono il medesimo numero, odorano di bucati mai fatti, svelano passi di ruberie, di molestie. Piedi schifosi, certo.
O li laverò, però, o non sarò mai per loro Cristo, come professo di volerlo essere.
Acqua, tanta. Poi l’asciugatoio: sulla pelle. Di più: a carezzarli con un bacio.
Uno, due, quattro, dodici: da moltiplicarsi per due, fino a ventiquattro. Alla settima fermata, una mano mi accarezza la testa: nessun Vangelo, prima d’allora, mi aveva tramandato questo fuorionda. Anzi: m’aveva sempre fatto imbestialire la mancanza di creanza di quei Dodici, di Giovanni in-primis: nessuno che si fosse alzato per ricambiare al Cristo quel gesto, per dirgli “Grazie. Siediti, adesso tocca a noi, con te”. Apostoli sfacciati, ingordi d’acqua, taccagni in amore. Manco uno che fosse partito a rincorrere Giuda: “Ragiona, fermati, pensaci. Andremo noi a parlare con gli aguzzini di Roma”. In galera, invece, uno (saranno due alla fine!) forza il Vangelo e si spinge laddove i primi preti dell’umanità hanno fallito. Allunga la mano destra, la poggia sulla mia testa, l’accarezza. E’ raddoppio di carezza: “Grazie, Gesù!” è ciò che s’azzarda a dirmi. Rattrappito a terra come una talpa, la tentazione di alzare lo sguardo è tanta: chi è colui che si sta sporgendo laddove gli apostoli non hanno osato? Chi sarà mai costui che dietro il visibile di un prete-peccatore intravede l’invisibile di un Dio tutto-santo? Chissà chi sarà stato: forse quello accusato d’avere violentato la donna amata, oppure quello che ha fatto l’amore col bambino, o magari l’uomo della matta-mattanza del terrore? Non lo saprò mai: da terra, mi è stato fatto divieto d’alzare lo sguardo oltre il suo calcagno. Resterà la carezza di Giuda, il gesto d’amore dell’Iscariota sulla testa di quel don-Giuda che oggi sono io. Qualcuno mi ha chiamato “Gesù”: mai, fino ad allora, mi era capitato un imbarazzo simile. “Grazie, Gesù!” detto a don Marco, che è il primo della dinastia nella linea di successione al trono di Giuda.
Prima della benedizione, uno si alza, E’ galeotto, siciliano, spalle incurvate per troppa galera. Mi è tre volte foresto: non sono galeotto, sono veneto, ho spalle leggere per nessuna galera. «Da noi dicono: “Nuddu ti dici laviti à facci chi pari megliu di mia”» (“Nessuno ti dice: “lavati la faccia e sembrerai più bello di me)” – dice coram populo. Non lo dice, l’ha detto senza dirlo: quell’acqua l’ha colpito e affondato. L’Uno, sotto mentite spoglie di un prete-in-avaria, lo ha lavato perchè (ri)tornasse bello come Lui: mai gli era capitato finora. Soffro, faccio soffrire, per una quotazione d’autostima stimata per x che tende all’infinito. Certo che Iddio non fa nulla per farmela diminuire: certi giorni mi fa chiamare addirittura col suo nome.
Mi confondono con Lui.
E’ promemoria d’essere nulla lontano da Lui. D’essere Lui appresso a Lui.
(Immagine tratta da https://professionalsolutionsblog.wordpress.com)