ManoDonna

Uomini di pesca dalla forte muscolatura. Certuni giorni, al rabbì la possanza fisica di quegli amici sembra tornargli utile: di spalle e di braccia c’è una folla che ormai stanno imparando ad arginare. Uomini adatti all’avventura: «I pescatori sanno che il mare è pericoloso e le tempeste terribili, ma non hanno mai considerato quei pericoli ragioni sufficienti per rimanere a terra» (V. Van Gogh). Mutano gli scenari, ma il canovaccio permane. Sulla riva del lago, al crocicchio, su strade di polvere: la turba non cede alla voglia di tenerlo un po’ tutto per sé. Al rabbì di Nazareth tutto ciò sembra non essere cagione di fastidio. Saluta, s’accorge, medita: «Nulla sfugge alla sua mano» (Tb 13,2). Tanto meno all’occhio, figurarsi alla memoria. Al tatto.
Lei s’era intestardita: “Mi basterà toccargli la veste. Sento che guarirò” (liturgia della XIII^ Domenica del Tempo Ordinario). Per i medici era un caso raro; per le sue finanze, quella malattia era stata la cagione della disfatta. Dodici anni a perdere sangue, squadre di medici a non saperlo arrestare, quel pudore sul volto ch’è tipico di chi sente d’essere infetta: reietta, tenuta in disparte, guardata a vista. L’occasione è ghiotta: quel turbinio di gente le permetterà di toccarlo senza che nessuno ci faccia caso. Tanto basterà un tocco e lei guarirà: ne è convinta. S’intrufola nella folla: non cerca gli occhi, va dritta verso terra. Le avranno detto in tanti: “Sei maledetta, tieni gli occhi bassi”. Eccolo che s’avvicina: ancora due passi, è tutto un vociare confuso. Tutti per quell’uomo, da lui, magari con lui. Zac! Gli ha sfiorato appena il mantello: «Subito il flusso di sangue s’arrestò» (Lc 8,44). Per fede. Che fede.
Lui viaggia spedito alla casa di Giairo: la storia di una dodicenne morente le ha mosso i passi. Pur affrettato, s’arresta d’improvviso: non è frettoloso. Tutt’intorno il silenzio delle festività: «Chi mi ha toccato?» Pietro strabuzza gli occhi dalle risate che quasi stramazza a terra: «Maestro, la folla ti stringe da ogni parte e ti schiaccia». Come dire: “E’ una battuta, vero”. L’uomo, da par suo, sa quel che dice: «Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me» (Lc 8,46). Pietro s’ammutolisce: il maestro è serio.
Lei sembra supplicare la folla d’inghiottirla. E’ una donna che avverte su di sé gli sguardi nervosi di chi le è accalcato addosso. La squadrano, la puntano, quasi a chiederle ragione di quella stolta idea di toccarlo. S’alza solo quando avverte che lui non molla la questione: allora gli racconta la sua storia, quel suo essere diventata vecchia anzitempo, quell’andare a sguinzaglio tra impaccio e medicazioni. Di quel giorno, forse di sabato, in cui ha sentito parlare di lui: del guaritore cortese e ramingo. Di quella voce che le ha detto: “Vai da lui. Vedrai che uomo”. Lei s’è fidata e messa in cammino: sola, con la sua miseria colorata di sangue e di sguardi torvi. L’ha toccato, poco più che lambito: le è bastato.
Glielo dice, sotto gli occhi di tutti. Ascolterà il verdetto, che sarà per tutte le orecchie: «Figlia, la tua fede ti ha salvata, và in pace» (Lc 8,48). Lei tocca lui, la grazia di lui tocca lei, si toccano: “Và e sii felice!” Lei sì, loro no. Eppur gli erano accollati addosso: «Turba premit, illa tangit (“La folla spinge, lei tocca)» (Agostino).
Fare ressa non è toccare. Se l’agguato non fosse esistito, si direbbe ch’è nato là, proprio lì. Sul lembo estremo di un mantello: ci volle sangue e fantasia per pensarlo. Ci volle fiuto per agguantarlo: Cristo è di passaggio.
E’ un attimo trovarlo; sarà di un attimo anche perderlo.

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