LaudatoSiCome corollario un’affermazione d’impareggiabile bellezza: la terra e il mondo non sono un problema da risolvere ma prima di tutto rimangono un mistero da contemplare nella letizia. E’ un papa perfettamente in linea col peso del nome che si è cucito addosso, Francesco: al giovanotto scalzo e felice, che dalle pianure d’Umbria corresse lo stile della Chiesa, il papa prende a prestito per la sua seconda enciclica non solo il titolo – Laudato sì – ma anche il respiro del santo di Assisi: la cura del povero e la custodia del creato sono un tutt’uno. Una questione di bellezza, quella cristallina celebrata dalla più sapiente e saporita tradizione cristiana: ovvero il giusto connubio di perfezione, armonia e di splendore. Non una senza le altre, non tutte senza una. Tutte assieme.
L’ho gustata tenendo accanto le foto che mandava dallo spazio qualche settimana fa l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti: lei a guardare la terra dall’alto, il papa a guardarla dal basso, dal di dentro. Un papa che fa la sintassi di questa “casa comune” che è il creato, un’astronauta che dall’alto fa una sintesi della bellezza celebrata nell’enciclica. Assieme partoriscono una sintesi che diventa sintassi. Fin quasi una grammatica per leggere con cura la vita del nostro pianeta. Come capitava sui banchi di scuola, quando s’iniziava sempre con l’analisi grammaticale: l’analisi dei verbi, dei sostantivi, l’abbinamento degli aggettivi e il loro genere. Il soggetto, il predicato, gli avverbi. E tutti a chiedersi il perchè di quella vivisezione della lingua, così apparentemente noiosa. Poi, però, arrivava il tempo dell’analisi logica: le grandi manovre linguistiche, la creatività dei mille complementi, l’abbinamento e la consequenzialità dei tempi. Non si capisce l’analisi logica se non ci si è allenati a quella grammaticale, che ne è il fondamento e l’anticipo. Non si capisce l’analisi grammaticale se, ogni tanto, non si getta uno sguardo su quella logica. Uno sguardo dal basso, uno sguardo dall’alto: suonarle in armonia significa fare esperienza della vitalità di una lingua. Della magnificenza di un sapere che diventa pensiero. Francesco è lo sguardo grammaticale dal basso, Samantha lo sguardo logico dall’alto: un contemplare la faccia del pianeta da postazioni diverse.
Dallo spazio o dalle stanze d’oltre Tevere, il guadagno sembra sia il medesimo: per quanto compromesso, il futuro del pianeta è ancora nelle mani dell’uomo. Fin quasi a dipendere da ogni suo più piccolo gesto: ognuno, a modo suo, è il riflesso di un raggio dell’infinita sapienza di Dio. Da qui scaturisce quella quadruplice preoccupazione di Francesco: quella per la natura in sé, la giustizia per le vite scartate, l’impegno nella società e la pace interiore. E’ l’occhio acuto e onesto di chi scandaglia attentamente la realtà, di chi non nasconde le sfide ma ha appreso l’umile fatica d’affrontarle. Di chi sa molto bene che la Chiesa non possiede un catalogo di soluzioni adatte ad ogni evenienza, ma può tentare di abbozzare un metodo per abitarle e affrontarle. Salvando a tutti i costi un’esigenza che è innata alla storia cristiana: che nessun sviluppo tolga la fatica di cancellare quella domanda di senso che imperversa nel cuore dell’uomo e della storia. Che la apre su orizzonti inediti.
Tra ragionamenti d’altissima teologia e sprazzi d’autentica poesia, quella di Francesco appare come un’enciclica da leggersi con gli occhi, da gustarsi con la memoria, da ascoltare col cuore. D’estate, il tempo del riposo e della lode, anche della fatica che porta al guadagno. Nel nome di chi, da buon gesuita, sa bene che l’importante non è conquistare una terra bensì di aprire una strada, d’avviare un processo. Il resto sarà di conseguenza, come quando all’analisi grammaticale seguiva quella logica: erano finestre che allargavano il respiro.

(da Il Mattino di Padova, 28 giugno 2015)

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