Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Voci di minoranza dal Family Day

Il 20 giugno (sabato scorso), si è tenuta in piazza San Giovanni, a Roma, una manifestazione a favore della famiglia e in contrasto con alcuni punti del ddl Cirinnà sulle unioni civili e Scalfarotto sull’omofobia, a cui hanno partecipato in massa molte persone (1 milione secondo gli organizzatori, 300.000 secondo la Questura).
Ho parlato di persone e volutamente ho omesso ogni altra connotazione sbandierata dai Mass media. Più avanti spiegherò perché.
Innanzitutto, vorrei dirimere la prima questione, che è quella, banale ma non troppo, delle cifre. Si è parlato di un milione. Cifre alla mano, risulta inverosimile stipare un tale numero di persone in quella piazza, considerando anche l’inevitabile arredo urbano, la presenza del palco e il gran numero di passeggini, citato da alcuni con sprezzo. Come è saltata fuori tale cifra? Probabilmente, penso che semplicemente si sia presa l’ultima manifestazione avvenuta in piazza san Giovanni, che mi pare sia quella di Grillo e, confrontandola con una veloce stima ad occhio, la piazza era più piena, anzi, in alcuni momenti la gente era riversata anche nelle vie vicine: dunque, se allora si parlò di 800.000 persone, è risultato verosimile parlare di un milione.
Tutto giusto, allora? No, ipotizzando che le stime siano esatte, come mi pare verosimile pensare, io sarei propensa a ridimensionare (solo quantitativamente!) la manifestazione di sabato, congiuntamente, o meglio, proporzionalmente a tutte le altre: una stima verosimile potrebbe essere intorno alle 600/700.000 unità come affluenza massima, ridimensionando naturalmente anche tutte altre manifestazioni avvenute in precedenza, promosse dalle più varie associazioni, naturalmente. L’amore di verità esige trasversalità e non sopporta faziosità, giusto?
So che ad alcuni queste precisazioni hanno dato fastidio, ma francamente mi pare ancora più insensato asserire di manifestare per la verità e poi accontentarsi di risposte preconfezionate. Se erano 800.000, 300.000 o 50.000, c’era forse meno verità nel sentimento, nell’ideale che li ha spinti là? Non è vero forse che quelle persone erano eccessive per la Lottomatica? Non è vero forse che, nonostante il programma scarno ed essenziale, privo di attrazioni e nomi famosi ed organizzato in poco più di due settimane, l’affluenza è stata maggiore di tante edizioni del concerto del Primo Maggio, così come di tante altre manifestazioni altisonanti, organizzate nella medesima piazza?
È pertanto evidente la vittoria degli organizzatori, anche da questo punto di vista, senza la necessità di insistere su cifre palesemente irreali, di cui si perpetua l’utilizzo unicamente per l’abitudine all’iperbole in questo campo. Tuttavia, non insisterò su questo punto, perché alla fine riconosco che fa parte della dialettica: gli organizzatori sparano cifre alte, anche per animare gli astanti, provati da viaggi anche lunghi, la Questura ridimensiona e riporta al realismo. C’est la vie!
Quali erano le ragioni della manifestazione? Si trattava di una manifestazione critica di alcuni punti dei DDL Cirinnà, Fedeli e Scalfarotto, a favore di una famiglia protagonista dell’educazione dei propri figli, e non soggetto passivo nei programmi imposti nelle scuole.

 «Una manifestazione “in positivo”, apolitica e senza sigle, pacifica e civile, che nasce dal basso e che chiama a raccolta uomini e donne di buona volontà, laici e cattolici, credenti e non credenti, per dare un segnale chiaro di quello che gli italiani hanno a cuore; in questi mesi in tantissimi ci hanno chiesto di poter dar voce al sentire comune, secondo le istanze che il Comitato Articolo 26 porta avanti, con toni pacati ma con risolutezza; questa manifestazione prende corpo anche dal lavoro della nostra associazione che ha collaborato con molte altre perché fosse possibile, con impegno e con la spinta della presenza attiva di tutti voi, che insieme alla stragrande maggioranza dei cittadini sostiene: rispetto per tutti, ma senza ideologia, soprattutto sulla pelle dei più indifesi!
E’ possibile assistere inermi all’avanzata della propaganda dell’ideologia gender che fin dagli asili nido sta colonizzando le nostre scuole? E’ possibile veder negato ai bambini il diritto ad avere una mamma e un papà e lasciar smantellare l’istituto del matrimonio, che fonda lo stato e garantisce il futuro delle generazioni?
I principi universali di salvaguardia dei bambini e di difesa della famiglia sono oggi attaccati e messi al repentaglio da forti pressioni internazionali e da specifiche iniziative legislative in Parlamento, come il DDL Cirinnà e i provvedimenti che vogliono ulteriormente spianare la strada alle teorie di genere nelle scuole, tra cui DDL Fedeli e la proposta dell’emendamento Martelli al DDL di riforma della “Buona Scuola”»
(Fonte: Comitato articolo 26).

Passiamo ora in rassegna chi c’era e chi non c’era, così da spiegare perché ci ho tenuto a parlare, semplicemente, di persone. C’erano famiglie con bambini, cattoliche e non, c’erano italiani e stranieri, credenti di varie religioni e confessioni, ma anche omosessuali appartenenti ad associazioni oppure organizzati singolarmente, c’erano movimenti ecclesiali, ma anche piccoli gruppi organizzati nei modi più disparati. C’è qualcosa di poetico in quest’anarchia: ognuno ha portato qualcosa di diverso, ma tutti si sono ritrovati uniti in una comunanza d’intenti, che è quella che ha fatto sì che potessero radunarsi tutti insieme, pur nella diversità, nel medesimo luogo.
Del resto: non avrebbe potuto essere diversamente. Se fosse stato, come erroneamente ha malignato qualcuno, un ritrovo di cattolici, o di eterosessuali, o di qualche altro strano sottogenere di etichetta immaginabile, escludendo qualcuno, sarebbe stato anticostituzionale. In una manifestazione di piazza, per definizione, partecipa chiunque condivide le rivendicazioni di chi l’ha organizzata, indipendentemente da sesso, etnia, età o credo religioso. Funziona così, in una società civile.
Tutto ciò è testimonianza di una cosa: la bellezza della ragione, che nulla toglie alla fede e che accomuna tutti gli uomini, mostrandosi quale campo di confronto, fertile e fecondo, disponibile per tutti gli uomini di buona volontà, disponibili ad un dialogo aperto e sincero, volenterosi di comprendere l’altro, prima di giudicarlo; di ascoltarlo, prima di far leva su pregiudizi reciproci che tolgono l’opportunità di un approfondimento che sia ricchezza per tutti.
Vengo qui ad affrontare una critica, che è riecheggiata da diverse parti. C’erano bambini nei passeggini, che non avrebbero dovuto essere portati in piazza. La prima risposta, scontata, è che era una manifestazione familiare: in quale altro luogo avrebbero potuto essere più opportuni che in quella piazza, in cui il loro esserci “completava” l’azione, visto poi che lo slogan della manifestazione era appunto “Difendiamo i nostri figli”? So bene però che a chi critica il Battesimo questa risposta non basta, perché la sola presenza di bambini, implica, purtroppo, per molti, soggetti privi di diritto ed incapaci di esprimere volontà. Rispondo dunque come risponderei a quella obiezione che, in fondo, è in un certo senso sottesa: non è giusto portare in piazza i figli perché significa mancare loro di rispetto, in quanto sono portati dai genitori ma non sono in grado di esprimere liberamente la propria opinione al riguardo. Partiamo innanzitutto da un fraintendimento: chi pensa questo, tendenzialmente non trova però nulla di male se il pargolo è portato ad un evento sportivo o musicale. Dunque, perché a quegli eventi sì e a manifestazioni in piazza invece no? Di solito, nell’illusione che quegli eventi siano “neutri” (come se esistesse qualcosa che possa esserlo!): inevitabile, quindi sottolineare che, pur potendo essere fatta con leggerezza, la partecipazione di un bambino ad un evento sportivo, musicale, o di qualunque altro tipo dovrebbe essere attentamente soppesata da parte di un genitore. Perché attraverso ciò è possibile veicolare valori in linea con gli sforzi educativi di quella famiglia; oppure no. Ecco perché la famiglia dovrebbe vegliare anche su occasioni come queste e, finché il ragazzo non è in grado di scegliere da solo, scegliere al suo posto (e poi, progressivamente, insieme con lui, pur avendo l’ultima parola) cosa sia meglio per la sua educazione integrale di essere umano. Questo perché – andando a rispondere (anche) all’obiezione sul Battesimo in tenera età – è quello che i genitori sono chiamati a compiere finché il bambino non è in grado di arrangiarsi da solo. Senza andare a cercare chissà quali questioni trascendentali, ma, restando sulla pratica spicciola, non si può certo attendere che il bambino sia in grado di scegliere come vestirsi, per vestirlo: questo comporterà qualche imbarazzo per il bambino che odia la salopette e magari vedrà sue foto nei primi mesi di vita vestito sempre in salopette. Lo stesso dicasi di bambini costretti a mangiare nelle proprie pappe ingredienti assolutamente sgraditi, fino al momento in cui non sono stati in grado di comunicare le proprie preferenze a riguardo dei condimenti sui cibi. Cose che capitano, a cui siamo tutti sopravvissuti. Lo stesso non si sarebbe potuto invece dire, con ogni probabilità, se ci fossimo ritrovati con genitori ultra – liberisti, che si fossero rifiutati di vestirci o nutrirci in assenza di un nostro esplicito consenso. È un’esemplificazione in forma d’iperbole, beninteso, ma spero renda l’idea del concetto.
Chi è sceso in piazza è stato definito in vari modi, ma nessuno riusciva davvero ad includere tutti. Ultracattolici è un termine che mi fa sorridere, innanzitutto perché io per prima mi considero in cammino perché “cattolico” lo reputo un punto d’arrivo, non di partenza: c’è qualcuno che oltre ad essere cattolico, senza ipocrisie, senza maschere e senza storture, seguendo in modo fedele il cammino indicato dal Cristo, è diventato addirittura “ultra”? Fatemelo conoscere, perché dev’essere più santo di Gesù stesso!
Qualcuno ha parlato di fanatici religiosi, allora: è sembrato un buon compromesso, data l’assenza di un diktat a favore dell’evento da parte di di gerarchie e movimenti cattolici, compensato però dalla presenza di un imam e dalla lettera di un rabbino.
Qualcun altro ha parlato di fascisti, omofobi e rappresentanti di estrema destra: peccato che, tra gli organizzatori ed oratori c’era qualcuno come Mario Adinolfi, che non ha avuto una vita esattamente irreprensibile secondo i dettami del Catechismo (come tanti suoi detrattori gli rinfacciano), ma, soprattutto, è tra i fondatori del partito del PD.
Allora, l’esasperazione, ha portato a vedere come comune denominatore l’eterosessualità degli astanti. Qualche commento all’evento, esprimeva compassione per poveri bambini omosessuali ignari, trascinati al Family Day dai genitori. Posso immaginare lo stupore degli autori di commenti simili di fronte alla rivelazione che, oltre ad omosessuali ignari, ce n’erano di estremamente consapevoli e disposti a farsi apposta un viaggio in pullman, senza nessuna pistola puntata alla tempia, né altre forme di costrizione fisica o psicologica.
A questo punto, mi sembra doveroso dare voce alla minoranza, a chi si è sentito escluso, al sentire parlare di manifestazione “contro i gay”.

«A quel punto a offendermi sono stato io.
Io, Adamo Creato, Cristoforo libero e tutti quei fratelli e sorelle con tendenze omosessuali, che vivono nel segreto e nella paura, senza ancora riuscire ad alzare la testa per affermare che esistono e che con i movimenti gay non hanno niente a che fare. C’eravamo anche noi lì, a dire con la nostra presenza che non ci stiamo ad essere privati del nostro essere uomini e donne, in nome di un non meglio definito orientamento sessuale. Perché noi sappiamo bene cosa genera la confusione dei sessi, e di quella confusione portiamo i segni impressi nella carne.
Insomma, se ogni categorizzazione si è dimostrata riduttiva, chi erano quelle persone presenti in piazza, tutte insieme, tutte diverse e con storie diverse?
È presto detto: ieri in piazza c’era l’Italia.
L’Italia che nessuno vuole ascoltare, quella che ancora ha il coraggio di prendersi responsabilità, che lotta per restare unita, per non cedere alla disperazione del lavoro che non c’è, delle tasse che sono troppe, di un mondo che le chiede di rassegnarsi, di parcheggiarsi, di arrendersi. L’Italia che vive ai margini, che ha bisogno di un aiuto per crescere i propri figli, perché non ha ancora perso il coraggio di farli, questi figli, nonostante tutto. L’Italia dei soggetti più deboli, quelli veri. Quelli che “quando sono deboli è allora che sono forti”.
In altre parole, l’Italia delle famiglie.
Perciò mi chiedo, se quell’Italia ieri era in piazza a protestare, chi è al governo oggi, quale Italia sta rappresentando?
Ddl Cirinnà (Unioni Civili con adozione da parte di coppie omosessuali); Scalfarotto (reato di omofobia senza definizione del reato, col rischio di limitare la libertà di parola su qualsiasi questione legata all’omosessualità); Fedeli (Teoria Gender sull’indifferenziazione sessuale, insegnata a scuola come progetto contro le discriminazioni): queste sono le leggi di cui abbiamo bisogno?
Questo è ciò che chiede l’Italia?
Quanto è successo a Roma sabato sembra dire di no»
(Cara senatrice Cirinnà, sabato lei mi ha offeso)

Queste sono le parole di Giorgio Ponte, trentenne, scrittore, con tendenze omosessuali. Un ossimoro? Se lo pensate non siete i soli, dato che, partecipando ad una veglia delle Sentinelle in Piedi, ha dovuto fare i conti con gli sberleffi di una lesbica. Sì, avete capito bene, può succedere anche questo, come racconta lui stesso in un precedente suo articolo (Se la sentinella è omosessuale):

«Da un po’ di tempo a questa parte la parola omofobia è sulla bocca di tutti. Anche a scuola, capita che i miei studenti quasi non sappiano cosa vuol dire bullismo, ma omofobia sì, quello lo sanno. Io invece ancora non l’ho ben capito, soprattutto alla luce di quanto mi è capitato all’ultima veglia delle Sentinelle in Piedi.
Stavo facendo volantinaggio, spiegando a una ragazza chi fossimo e per quale motivo vegliassimo, quando una bella bionda è spuntata alle mie spalle, chiedendomi con fare aggressivo se fossi omosessuale, perché dal mio modo di fare lo sembravo.
Di certo non si aspettava che io le sorridessi dicendole che sì, lo ero (so che l’omosessualità non è un’identità, ma in quel momento la situazione non permetteva disquisizioni sulla differenza tra attrazione, pulsione ecc., perciò sono andato al nocciolo).
A quel punto la ragazza, sedicente segretaria dell’Arcilesbica, ha iniziato un’invettiva dicendomi che ero fuori di testa; che ero come “un afroamericano iscritto al Ku Klux Klan”, e che era inutile che mi illudessi perché nel segreto tutti i miei amici presenti in realtà mi disprezzavano chiamandomi “frocio”.
Sorvolando sull’ultima illazione che si commentava da sola, ho ribattuto che non mi risultava che le Sentinelle avessero mai bruciato in piazza nessuno e che in ogni caso gli omosessuali non sono una minoranza etnica, ricordandole che fino a prova contraria entrambi appartenevamo ancora alla razza umana.
Ed è stato allora che è accaduto.
Dimostrando un’elevata maturità, la donna mi ha fatto il verso.
Sì, avete capito bene. Una lesbica mi ha sfottuto per i miei modi effeminati. Con tanto di manina svolazzante e vocetta stridula.
La situazione era talmente grottesca che mi è scappato da ridere. Poi, con una calma che non mi apparteneva, le ho chiesto: “Ti rendi conto che tu sei l’unica in questa piazza che mi sta sfottendo per la mia omosessualità? Nessuno dei presenti si sarebbe mai permesso di fare una cosa del genere. Ora dimmi, se questa parola avesse un senso, chi è omofobo fra noi?”
Non sapendo cosa rispondere, la sedicente Segretaria Arcilesbica ha cambiato argomento cominciando una filippica molto teatrale contro la Madonna e i Santi, con l’unico risultato di fare imbestialire l’altra ragazza con cui stavo parlando e che, pur non conoscendo le Sentinelle, non essendo cristiana e non avendo una posizione chiara sulla questione delle unioni civili, era terribilmente infastidita della prepotenza del suo atteggiamento e dalla pochezza delle sue argomentazioni.
Buonsenso, uno, Follia, zero, insomma.»

Ma perché un omosessuale dovrebbe appoggiare una manifestazione come quella del 20 giugno? Credo sia opportuno ascoltare la ragioni di chi, come lui, ci ha partecipato, raccogliendo anche il testimone di chi, omosessuale come lui, credente od ateo, non potendo partecipare, si è sentito in condizione di delegare la propria presenza, accordando quel surplus di fiducia che portano con sé parole come “Vai anche per me”:

«La mia non è una predica, né una lamentela, ma solo una richiesta di attenzione verso coloro che ci contestano. Da scrittore infatti so quanto le parole siano importanti, così come da uomo so che la tentazione di fare prevalere la rabbia di fronte a certe follie è grande.
Ma non è per rabbia che noi manifestiamo.
Almeno, non è per questo che manifesterò io.
Levarci in piazza contro certi comportamenti e modelli sociali, senza fare in modo che chi li sostiene possa riconoscerne la falsità, sarebbe un nonsenso. Se dimentichiamo che ciò per cui stiamo lottando non è la sconfitta di qualcuno, ma il bene di tutti, avremo già perso.
Personalmente io andrò lì con la speranza di raccontare la bellezza in cui credo. Non da omosessuale, ma da uomo che cerca una strada, il suo posto nel mondo, come ogni altro essere umano su questo pianeta. Compresi coloro che a tutto questo si oppongono.
Se questa è una guerra, infatti, è una guerra contro un’ideologia, non contro le persone che di quella ideologia si fanno portatori; poiché al di là di tutto, lo ripeto, essi sono nostri fratelli.
E questo vale sia per chi ci sarà in quella piazza, che per chi ha scelto di non andarvi.
Chi ci sarà infatti potrebbe vincere la propria battaglia politica, ma se i suoi intenti non saranno mossi dall’amore, la sua resterà una vittoria legale, sterile e infelice. Oltre che temporanea.
Chi invece non andrà, per un malinteso senso di accoglienza dei propri amici che non condividono la stessa visione del mondo, pur avendo desiderato amare, non lo avrà fatto davvero. Perché non c’è amore senza verità.
Un paio di settimane fa in una chiesa del centro di Milano si è pregato per le vittime dell’omofobia. La notizia mi ha riempito di tristezza, mostrandomi una volta di più la totale inconsapevolezza con cui, anche in alcune realtà di Chiesa, molti siano pronti a seguire la massa, senza domandarsi il significato profondo di ciò che fanno.
Che senso ha pregare per le vittime dell’omofobia, quando non siamo nemmeno liberi di parlare consapevolmente di omosessualità?
Sogno un giorno in cui avremo il coraggio di pregare per coloro che non trovano la loro identità, vittime di un mondo che da un lato li illude di poter vivere al di là dei limiti del proprio corpo, mentre dall’altro li incatena dentro limiti mentali assai più rigidi.
Questo è un vero problema sociale, un problema che non coinvolge solo gli omosessuali, ma tanti uomini e donne che sempre più fragili si aggirano per la vita alla ricerca di un senso, incapaci di fornirselo da soli, di “autodeterminarsi” come il mondo dice loro di fare.
Per questo domani manifesterò, per la prima volta insieme a migliaia di altre persone, credenti e non. Perché questo coraggio lo troviamo tutti insieme.
Nessuno uomo infatti deve cercare lo scontro, ma se ad esso è chiamato non può e non deve tirarsi indietro. C’è un tempo per dialogare e un tempo per difendere.
Domani è il tempo della difesa.
Tuttavia non c’è difesa senza amore perciò che si difende. E noi difendiamo l’essere umano.
Ogni essere umano. Anche chi ci odia. Anche chi il nostro amore non lo vuole.
Anche chi ha scelto di lasciarci a comb­attere da soli una battaglia che non riconosce.»
(post Facebook di Giorgio Ponte del 19.06.2015)

 

A questo punto, di fronte a questa testimonianza così vera e mordace, s’impongono doverose delle scuse, per tutte quelle volte in cui il livore ha trovato spazio nel dibattito, in cui sono spuntate inutili, riduttive ed evitabili “etichette”, che ci hanno fatto dimenticare che prima e sempre il rispetto va garantito alle persone. Anche quando non la pensano come noi. Perché, come insegna lo starec Zosima in quel capolavoro dei Karamazov, di fronte al dolore ci si può soltanto inginocchiare. Anche le parole perdono importanza.
Tuttavia, è bene sottolineare un dettaglio, a mio avviso. La salvaguardia della verità non preannuncia il sonno dell’empatia, né la compassione umana permette che si perda la voce di fronte alla menzogna. Verità e carità richiedono di essere contemporaneamente presenti, pena l’ipocrisia di ambedue.
Nessuno può essere tanto cieco da non vedere la sofferenza che senza dubbio si cela dietro ad un corpo in cui non ci si riconosce oppure una tendenza affettiva sgradita , ad esempio. Ma mi domando: assecondare tutto ciò è l’unica soluzione possibile? È la migliore? Corrisponde alla realtà dei fatti? Può dispiacermi per la persona che vive la disforia di genere, per chi si sente solo ed emarginato per questo motivo, ma questo mi autorizza a cambiare posticciamente la realtà, per assecondarlo? Io ritengo di no e non mi sembra di mancare di rispetto in questa risoluzione, anzi personalmente mi parrebbe vero il contrario. C’è una realtà fisica, psicologica, biologica che mi dice che c’è differenza tra maschile e femminile e che in quella differenza c’è una ricchezza, che si manifesta quando questi due emisferi dialogano tra loro. Come potrei negare tutto questo? Un uomo non è una donna, ciascuno ha ricchezze diverse, al di là di tutti i possibili stereotipi. Come rinnegarlo. Dovrei forse negare che anche un omosessuale resta pur sempre o maschio o femmina (tertium non datur), indipendentemente dalle sue tendenze, a cui tuttavia (è bene ricordarlo!) non è possibile neppure ridurre la complessità della sua persona?
Tutto ciò lo dico alla luce di una mia personale esperienza: ho più stima e gratitudine per chi mi mette di fronte alla realtà (magari ai miei difetti più odioso e scomodi), se serve, persino con modi bruschi, piuttosto che lasciarmi nell’illusione di una visione di me stessa che è lontana dalla realtà. Ovviamente, sulle prime non è sempre semplice accettarlo, ma fa parte della fatica di migliorarsi senza sosta che ci può rendere, alla fine, uomini e donne migliori!
Dire tutto ciò, al contempo non esclude che resti una domanda che chiede risposta e cioè: se siamo maschi e femmine, perché qualcuno “evade” alla norma? È vero, alcune risposte derivano dalla psicologia, tuttavia non sono uniformi né sufficienti. Credo che proprio dall’intervento di Adinolfi in piazza san Giovanni arrivi una parola, che è possibile conservare: il senso del limite. Alle volte, non rispondere è la risposta più profonda che si possa proferire. Non a tutto è possibile rispondere, comunque, non subito.
Tuttavia, non essere in grado di rispondere o risolvere i problemi attuali non può autorizzare nessuno a cambiare la realtà, per renderla più digeribile. Perché, così facendo, l’unico risultato che potremmo attuare è rendere reale 1984 di George Orwell. Ma non sono così sicura che il risultato possa renderci liberi davvero (potrebbe anche piacerci, o piacere a qualcuno di noi, ma reputo il piacere un metro di misura troppo opinabile perché possa essere utilizzato come criterio di valutazione valido)!
Mi è inevitabile poi una riflessione, a fronte del fatto che qualcuno, per altro un personaggio pubblico come Scalfarotto (ma non è stato certamente l’unico, a giudicare dalle innumerevoli espressioni d’indignazione registrate dai social network, anzi, in tal senso, temo si sia fatto espressione del pensiero di molti) possa definire “inaccettabile” l’evento di sabato. Se basta l’espressione di un’idea a generare in chi la pensa diversamente disprezzo ed astio, mi viene da pensare che non siano così liberi se basta una piazza gremita a far loro così tanta paura da diventare così aggressivi. Indipendentemente dalle cifre, infatti, la richiesta di libertà d’insegnamento e d’espressione (per antonomasia) non può impedire ad altri di pensarla in modo differente oppure di diffondere tali idee. Si limita soltanto a rivendicare il ruolo che è proprio delle famiglie (e a cui purtroppo ha abdicato sovente, per lo più tramite la formula di un becero fideismo statalista) nella scelta dei metodi educativi più adeguati ai propri figli.
È buffo che, nella stessa frase in cui tante bocche hanno invocato libertà per i diritti degli omosessuali, al contempo abbiano anche elargito disprezzo e vergogna nei confronti di una pacifica manifestazione popolare.
Dove finiscono allora i principi della Rivoluzione francese osannati fino all’idolatria? Sono forse mutati nel diritto di cittadinanza ristretto a tutte e sole quelle idee che siano da loro condivise?
No, non chiedo di esultare per la piazza piena insieme con gli organizzatori dell’evento, ma esigo quella coerenza che pretende di concedere lo stesso rispetto e la stessa libertà d’opinione richiesti per sé.
Oltre non mi spingo. Non cerco conversioni, forse perché amo il sano confronto. Sì: proprio quello delle salutari “legnate” sui denti, frutto di quell’ascolto reciproco così raro e prezioso da suggerire troppe volte l’ipotesi che sia solo utopico.


 

NOTA BENE: Non era mia intenzione addentrarmi eccessivamente in disquisizioni specifiche sull’argomento. Primo mio obiettivo era rendere giustizia a quella minoranza dimenticata dai media, troppo tesi a dare voce agli ultra – cattolici, per vedere la poliedricità che può assumere un’idea, rivestendosi di sfumature da quelle più banali e scontate.
Della Chiesa si dice spesso male, e il più delle volte (purtroppo), con ragione. Eppure, è proprio da un suo rappresentante e ministro che mi è giunto, in epoca adolescenziale la supplica a coltivare uno spirito critico: condizione essenziale per lo sviluppo di un pensiero libero e personale, e tesoro prezioso ricevuto in eredità da un sacerdote che ha saputo essere vero educatore.

Un pensiero di gratitudine a Giorgio Ponte, per aver collaborato con tanta spontanea generosità, nella stesura di questo articolo!


Per un approfondimento:

Il post

Io, omosessuale, in piazza con le Sentinelle

Se la sentinella è omosessuale

Cara senatrice Cirinnà, sabato lei mi ha offeso

DDL Cirinnà

DDL Scalfarotto

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