Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Roma, d’agosto, è una stufa accesa: spande calore da tutte le strade. È una città che distrae il turista con la sua gazzarra perpetua. Nella Sala Ducale dei Musei Vaticani, al cuore di Roma-cristiana, invece, il silenzio è claustrale: è un festival della bellezza, dell’estro, dell’incanto. Quando Papa Francesco arriva, la sala si riempie di elettricità: anche in giorno feriale, il suo è un sorriso festivo. Ci siamo presi un pomeriggio da trascorrere assieme, a raccontarci Maria. Più che lavoro, è occasione di grazia. Tanta grazia: «Era inquieta, Maria – mi confessa ancora prima d’iniziare -. Non si può concepire la santità senza inquietudine».

Gioca lui d’anticipo, com’è suo solito, con un colpo di fioretto: non è possibile tentare la scalata della santità senz’accettare di essere avventurieri. Essere piccoli spaventa, è anche emozionante: «Io, Maria, me l’immagino una ragazza normale. Una donna normale. E’ la normalità, è una donna che qualsiasi donna di questo mondo può dire di poter imitare. Niente cose strane nella sua vita: lavorava, faceva la spesa, aiutava il Figlio, aiutava il marito». Normale, dunque eccezionale: Dio, pare suggerirmi il Papa, non si commuove coi grandi principi. Gioisce quando le sue creature lo seducono con le piccole peripezie: non c’è nulla che rallegri come l’allegria di un povero.
Il Signore è con te! Maria avrà, forse, tradito qualche leggera paura alla voce dell’arcangelo: «Ci sono due paure – riflette il Papa -. La paura chiusa è quella che ti rende uno schiavo: sei figlio della paura. Quella non serve, non ti lascia crescere. La paura aperta è il santo timore di Dio. Ho paura, ho timore, ma vado avanti provando insieme paura e sicurezza». La paura, a Nazareth, era quella di diventare Madre, mamma del Bambino più atteso. La paura, a Buenos Aires, è quella delle madri di Plaza de Mayo, quelle dei figli arrestati dalla dittatura di Videla, mai più tornati a casa, ammazzati con i voli della morte: «A una mamma che ha sofferto quello che hanno sofferto le mamme di Plaza de Mayo io permetto tutto – scolpisce le parole con una cura certosina -. La disperazione di quelle mamme è terribile. Non possiamo che accompagnarle e rispettare il loro dolore, prenderle per mano. È difficile». Lui, quella sofferenza, l’ha conosciuta.
E’ il lato materno di Dio. Di sua Madre, Maria. Nelle nostre mamme, dunque, giace l’imprinting del nostro Dio, di Maria: «Ricordo che mia mamma – racconta Papa Francesco citando un quadretto autobiografico -, parlando di noi cinque figli, diceva: “I miei figli sono come le dita della mano, ognuno diverso dall’altro; ma se mi pungo un dito sento lo stesso dolore che proverei se me ne pungessi un altro”». Essere madre è sapere guardare il mondo dal basso: guardarlo dall’alto o dal basso non è lo stesso. Maria è mamma-dal-basso: «Lei viveva nel popolo, come il popolo. È anormale vivere senza collegamento con un popolo. In quelle condizioni nasce un peccato che piace tanto a Satana: il peccato dell’élite». Dio si trova in basso, negli stracci inaspettati dei miserabili. In quelle sembianze abita il Dio che Francesco non teme di testimoniare. La sua Chiesa è donna, di stracci e rammendi. Di vergogna cucita in volto: «Son passato tante volte in autobus davanti al carcere di Villa Devoto, a Buenos Aires. Tutti vedevano queste donne in coda per entrare a visitare un figlio. Non è difficile immaginare le umiliazioni che deve subire una donna, le perquisizioni. Ma non importa, è per un figlio. Si lasciano calpestare, importa il figlio». Nulla insegna più della biografia di una madre. Di nostra madre.

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Frequentava la Scrittura, Maria. Per questo era bellissima, piena di grazia: «La Madonna è la bella per eccellenza – sorride Francesco -. La bellezza è una delle dimensioni che troppo spesso trascuriamo. Parliamo di verità, di bontà e lasciamo da parte la bellezza. Invece, è importante quanto le altre. È importante trovare Dio nella bellezza». Nella tenerezza, che è la declinazione affettiva della bellezza: «Oggi ci vuole la rivoluzione della tenerezza – ammonisce il Papa, col piglio severo -. Pensiamo a Maria: è l’immagine della tenerezza che custodisce, la sua guancia contro la guancia del Figlio. Noi abbiamo bisogno della Madonna della tenerezza: è la benedizione. Senza tenerezza non si capisce una mamma, senza tenerezza non si può capire Maria». Benedetta tu fra le donne: la verità, come l’amore, ha sempre una storia. Non è mai un’improvvisazione. La fede ha una memoria affettiva: «Mi ha parlato di Maria per la prima volta la suora che mi ha preparato alla prima comunione – ricorda il Pontefice -. Era buona: la ricordo come l’insegnante dell’amore per la Madonna. Quando morì l’accompagnai al cimitero. Forse è proprio questa suora la donna che mi ha insegnato più di Maria. Si chiamava Dolores». Dio chiama molto tempo prima che le creature si apprestino a rispondergli: chiama in borghese, nascosto dietro i mille volti con il Vangelo scolpito nel viso. Dio è un’artista impareggiabile. Con sua Madre, poi, ha toccato l’apice della sua arte: ha creato la suspence della salvezza.
Non aveva bisogno d’essere applaudita, Maria. Aveva solamente bisogno di Lui. Poi, nel tempo, nutrì il bisogno di diventare intercessione, tramite per Lui: prega per noi peccatori. «Maria è la mamma dei peccatori, non può essere la mamma dei corrotti – s’affretta a puntualizzare -: i corrotti vendono la mamma, vendono l’appartenenza ad una famiglia, ad un popolo». Manco Dio ha bisogno di gente d’applausi e d’intelletto: «I mistici parlano di pazzia divina, e l’amore di Dio per il suo popolo è una pazzia: non ti ho eletto perché sei il più intelligente, il più grande, il più forte; sei il più piccolo nel mondo. Dio ama così». Mentre l’uomo si allontana, Dio s’avvicina a Lui: a ricordargli di avere un Padre e una Madre per casa. Nel nome del Padre: è la fede. Nel nome della Madre: è la vita.
Senza menzogna alcuna. È la storia dell’Ave: «L’Ave Maria incomincia con la grande verità della salvezza – sottolinea il Papa -, e finisce con la grande verità della condizione umana, frutto del peccato entrato nel mondo per l’invidia del diavolo. È la realtà». Per sapere quanto misuriamo in altezza, è d’obbligo stare di fronte a Dio: Eccomi! (Amen). «Siamo debitori della vita ad una donna – mi ricorda il Papa -. Quando recitiamo l’Ave Maria stabiliamo un collegamento naturale tra la Madonna e le nostre mamme». In ogni volto è in agguato una rivelazione. Nel volto di Maria, Dio ha posto la grande rivoluzione: «Lo scandalo e la difficoltà non sono capire se Dio esista, ma capire che Dio si è fatto Cristo – conclude il Papa, citando Malègue – Questo è lo scandalo. E la Madonna è al centro di questo scandalo. La santità è al centro di questo scandalo». Tutto qui.

All’ora del tramonto, le pietre di Roma sono calde. Ci alziamo, ci diamo un abbraccio. Raccomandandoci a Lei: Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio. Anche madre nostra: pensarlo più di due secondi è pazzia.

(da Maria con te, 13 ottobre 2018)

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(photo – Osservatore Romano)

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