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Le letture che propone la liturgia di questa domenica in cui festeggiamo la Divina Maternità di Maria sono decisamente all’insegna della gioia, che ci viene incontro sia dal Vangelo dell’Annunciazione, sia dalla lettera di san Paolo ai Filippesi.
«Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28): è il saluto che l’angelo rivolge infatti a Maria, quando le viene incontro per quell’annuncio stratosferico che cambierà le sorti dell’umanità. Dio diventerà carne e sangue, prenderà il corpo di un bambino, nascendo dal ventre di una vergine. Il vaticinio di Isaia (7,14) si trasforma in realtà: ciò che sembrava impossibile, diventa vero, tangibile, percepibile. Di una realtà – addirittura – inaudita, tanto che – ancora oggi, ciò che è, da molti vissuto come uno scandalo inconcepibile è proprio questo: com’è possibile che Dio, che è infinito, accetti di abbassarsi e diventare così piccolo da entrare nel grembo di una fanciulla?
Avrebbe potuto entrare nel mondo con potenza, accompagnato da segni del cielo grandiosi, folgori, nubi, magari a capo di un esercito portentoso, riproducendo un evento piuttosto simile all’epica battaglia della Terra di Mezzo (era, press’a poco, questa l’aspettativa giudaica nei riguardi del Messia: un condottiero senza pari che potesse rendere grande il piccolo popolo d’Israele).
Anche l’Epistola riprende l’invito alla gioia – Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti (Fil 4,4) – con una reiterazione che dà il senso dell’importanza di tale richiesta. Il motivo, se vediamo, è – del resto – il motivo per cui la Madonna stessa è invitata a gioire (Il Signore è vicino!): è la presenza di Dio, a cambiare la prospettiva, non – necessariamente – assistere a prodigi inenarrabili.
Ciò che ripetiamo è ciò che non vogliamo vada dimenticato. E, per san Paolo, coltivare gioia non è un dettaglio, bensì lo considera – in un certo senso – fondativo del Vangelo stesso. Il Vangelo è un annuncio di gioia, perché Dio vuole e cerca la nostra compagnia: non è più – solo – l’uomo a cercare Dio, ma è Dio stesso che si fa incontro all’uomo e lo viene a cercare, lì dove egli è.
Prosegue, infatti, l’Apostolo:

Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. (Fil 4, 6)

È una sottolineatura importante, forse, a maggior ragione per noi cristiani d’oggi. Tante volte, fatichiamo a comprendere cosa sia la preghiera ed a trovarvi uno spazio, nella nostra quotidianità. Con questi tre termini (preghiere, suppliche e ringraziamenti) è evidenziata la ricchezza del rapporto con Dio: fatto di richieste, senz’altro, ma anche (oserei dire: soprattutto) della capacità di cogliere la bellezza intorno a noi e ringraziarne l’Autore; non ultimo, è bene, del resto, riscoprire la preziosità dell’ascolto, che, anzi, se possibile, dovrebbe costituire la parte principale della nostra preghiera, se davvero siamo intenzionati a fare la Sua volontà (e non la nostra, millantata per Sua!).
È giovane, Maria: adolescente, diremmo, secondo i canoni odierni. Eppure, non è ingenua, la fanciulla di Nazaret. Sa il fatto suo. A quello strano annuncio che le dice che sarà madre di Dio, lei pone innanzi il crudo realismo:

«Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34)

L’angelo accoglie la legittima richiesta di chiarimento e, quale segno, le mostra quanto accaduto ad Elisabetta, dimostrazione che nulla è impossibile a Dio (Lc 1,37).
Nella sua libertà, a quel punto, Maria decide di accettare, forse con un po’ di sana, giovanile irruenza che non analizza le conseguenze delle proprie azioni, unita a grande generosità, la strana proposta arrivatale da Dio, tramite l’angelico annunzio:

«Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38a)

Solo facendo spazio all’ascolto, potremo lasciare che la Parola di Dio incida davvero nella nostra vita.
Inevitabile concludere con l’augurio di san Paolo:

In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. (Fil 4,8)

Ognuno diventa ciò che ascolta. Ciò di cui ci circondiamo diventa quello che nutre il nostro sguardo e il nostro ascolto. Se è Bellezza, respireremo Bellezza, ma se ci circondiamo di violenza, sopraffazioni, odio, sarà inevitabile tendere all’assuefazione e far fatica a respingerle dalla nostra vita.
Spesso, questi sono giorni in cui ci scambiamo dei regali. Il regalo è la concretezza di un pensiero di bene: per questo motivo, essi non sono affatto in contraddizione con il Natale, che è festa dell’Incarnazione. Così come Dio si è fatto carne, per comunicarci il proprio amore, noi gli diamo la forma di qualcosa che ci auguriamo possa strappare un sorriso a chi lo riceve. Perché nessuno è così povero da non poter condividere un sorriso. Il rischio da cui dobbiamo cercare di restare lontani è, tuttavia, quello di trasformare tutto ciò nell’ostentazione della vanità e nell’esclusione di chi ha meno (cosa che, invece, è quanto di più lontano possa esserci rispetto all’insegnamento del Natale!). L’invito è non far diventare il Natale una “corsa ai regali”: piuttosto, nella gratitudine a Dio che si fa dono a noi, possiamo sempre esprimere la nostra gratitudine ai doni-persone sul nostro cammino (anche solo condividendo con loro ciò che di più prezioso ciascuno di noi ha: il proprio tempo, così incalcolabilmente prezioso proprio per l’incertezza della sua durata)!

Rif: Letture festive ambrosiane nella Domenica dell’Incarnazione (VI di Avvento, anno C) – Is 62, 10 – 63, 3b; Fil. 4, 4-9; Lc 1, 26-38a

Fonte immagine: Pixabay

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