Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Sono tante le cose che un bambino (od un ragazzo) possono desiderare. Oggi, come ieri, si illuminano gli occhi, al descrivere le magnificenze per cui il desiderio si è accesso e le labbra si lanciano nella magnificazione del medesimo, tramite l’enumerazione di tutte le caratteristiche positive che lo riguardano. Oggi, come ieri, tutti desideriamo qualcosa. È normale che lo sia. Il desiderio fa parte dell’uomo e, spesso, è proprio il desiderio che ci mette in cammino e ci aiuta a migliorare noi stessi.
La differenza sta, però, nell’attesa.
Ricordo un esempio personale. Ricevetti, con sorpresa enorme, il libro “L’occhio del lupo” di Daniel Pennac, quand’ero ormai, da tempo, fuori quota (frequentavo le scuole superiori ed ero assidua frequentatrice di letture ben più impegnate, come i grandi romanzieri russi). Il motivo? Era stato messo in una “lista di desideri di Natale” di molti anni prima e, finiti gli altri desideri, quello era rimasto ancora inevaso. Beninteso, lo apprezzai molto, appunto perché, ormai, avevo persino dimenticato di averlo chiesto e davo per scontato che, se avessi davvero voluto quel libro, avrei dovuto acquistarlo con i miei soldi. Ho pensato a questo dettaglio quando, guardandomi in giro, vedo con che rapidità i desideri degli adolescenti diventano velocemente ordini su Amazon, anche al di là delle ricorrenze (Natale, compleanno). In un battibaleno, ricevono smartphone, smartwatch, casse bluetooth ed altri tecnologici, costosissimi oggetti, di cui, per altro, spesso hanno così scarsa cura che è necessario cambiarli con una frequenza impressionante.
L’uomo è sempre l’uomo: da sempre desidera. E – non facciamoci illusioni – spesso, sia poveri che ricchi, mettono al centro dei propri pensieri il possesso di oggetti. La differenza, che può rivelarsi molto pericolosa è un incredibile accorciamento dell’attesa. Una volta, ad esempio, la bici era un regalo ricercatissimo. Lo stesso, dicasi per altri oggetti, come l’orologio da polso che, specie per i maschietti, rappresentava una sorta di “giro di boa” di riconoscimento di un grado di maturità superiore (spesso era, ad esempio, l’obiettivo sotteso alla Comunione, quindi intorno ai 10 anni, un’età importante, nella crescita del ragazzo). Il desiderio si accompagnava, però, sempre ad una lunga ed estenuante attesa.

Nell’attesa, il desiderio – è inevitabile – aumenta. Ma si modifica: impariamo, cioè a scegliere cosa è bene o meglio desiderare e a cosa è invece possibile rinunciare. In questo modo, ci è possibile canalizzare meglio le nostre forze verso ciò che davvero conta, senza sprecare denaro ed energie, verso ciò che, al contrario, rischia, piuttosto, solamente, di distoglierci dal nostro vero – e più importante – obiettivo.
Naturalmente, essere ricchi non può essere una colpa. Tuttavia è un rischio, che porta con sé la possibilità di essere incapaci di ambire a sogni grandi, illusi che tutto possa essere conquistato grazie ad un assegno sganciato dal papà, nel giro di poche ore. Ecco perché, anche nelle famiglie più abbienti, pur potendo permettersi qualsiasi acquisto il pargolo domandi, è bene far sudare un po’ l’arrivo dell’agognato oggetto del desiderio, anche qualora non vi siano ostacoli di ordine economico. Solo sperimentando sulla propria pelle cosa significhi attendere qualcosa che si desidera può educare all’abilità di attendere, costruendo il futuro, con “piccoli passi possibili” nel presente (capacità, questa, fondamentale, nella vita, anche per chi “è nato con la camicia”).
Il rischio educativo che si profila all’orizzonte, alle nostre latitudini, pare proprio essere quello della perdita del desiderio, nell’annullamento dell’attesa. Ciò che manca, più di tutto, oggi, è, infatti, la purificazione del desiderio, quella, cioè che ci permette di scegliere, sfoltire i desideri e dare la priorità solo a ciò che davvero è fondamentale per la nostra vita e la nostra storia di uomini che calcano questo pianeta.
È evidente come non si possa parlarne in senso assoluto, nel senso che ci sono anche investimenti che per un persona sono più che sensati, mentre per un’altra sono un autentico spreco di soldi. Come decidere, dunque? Non ci può essere un criterio assoluto: è necessario fare mente locale, affinché si possa ragionare sulle cose, “relativizzandole”, cioè mettendole sempre in relazione alle persone, che devono avere assolutamente la prerogativa. Dunque, per fare un esempio, per chi sogna di diventare pilota militare, non è eccessivo desiderare un simulatore realistico di volo, in quanto propedeutico alla realizzazione del desiderio – principe della propria vita. Un bambino di 6 anni che vuole l’ultimo modello di telefono solo per primeggiare con i compagni, in una sfida senza senso, è invece bene sia fatto aspettare, affinché possa comprendere meglio il valore dei soldi e la sua reale necessità (bambini così piccoli è bene non siano in costante contatto con la realtà virtuale e, dal momento che sono abitualmente scorrazzati ovunque da mamma e papà non hanno alcun bisogno di reperibilità).
L’aspetto educativo della scelta e della rinuncia (che è la consapevolezza che non posso avere tutto, quindi ho dei limiti) che, per la nostra smania di accontentare i figli rischiamo di far loro perdere, è una tappa fondamentale nel diventare uomini e donne, senza la quale si rischia di perdere il gusto della vita.

Fonte immagine: Gildshire

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