Rabbia,
rabbia e ancora rabbia! Tu a sgobbare sui libri tutto l’anno: giorno dopo
giorno, un concetto alla volta, passione, sacrificio, sudore. Tenacia. Il tuo
vicino di banco se n’infischia: al posto del cervello il videotelefonino, il
giorno dei compiti in classe esibisce un’assenza giustificata dalla madre, i
libri vantano una giovinezza da rivendere. Alla fine dell’anno, i conti non
tornano: con un colpo di fortuna i suoi voti sono identici ai tuoi. A cos’è
servito lavorare duro per un anno intero se poi nella ricompensa non si nota la
differenza? E così in ufficio, quando l’ultimo arrivato inspiegabilmente viene
trattato come te. Meglio di te. Più considerato di te. Così nello sport, in
famiglia, nella società! Non sempre a tot
lavoro corrisponde tot salario.
Cavoli,
che rabbia!

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La parabola degli operai chiamati al lavoro a ore
diverse e poi pagati allo stesso modo (Mt 20,1-19), disorienta e incanta sempre molti
lettori. Il proprietario di una vigna ingaggia dei braccianti per una giornata
di lavoro. Ne ingaggia alcuni al sorgere dell’aurora e il salario pattuito per
un’intera giornata è un denaro. Un prezzo giusto, una scena familiare agli
occhi dei contadini palestinesi. Ma lungo l’arco del giorno il padrone ingaggia
anche altri lavoratori, persino un’ora prima del tramonto del sole. A costoro
dice: "Vi darò quanto è giusto".
Potremmo anche noi, seduti magari sulla piazza di quell’anonima cittadina di
sfaccendati, riflettere sul modo di gestire l’azienda di quel datore di lavoro
così strano. "Per essere insostituibili
bisogna essere diversi"
(C. Chanel)
– sembra essere oggi la sua filosofia aziendale.
E’ un padrone
premuroso che si sente coinvolto in prima persona, tant’è – cosa assai
incantevole – che esce lui stesso a
cercare operai per la sua vigna. Un atteggiamento che desta sorpresa, che
lascia incuriositi, che partorisce delicatezza. Con gli operai dell’ultima ora,
poi… si supera: nessun padrone farebbe un’assunzione così tardiva. E poi,
quanta premura nei confronti di quei disoccupati involontari. Non è che fino ad
allora avessero bighellonato, ma nessuno era giunto a chiamarli per prenderli "a giornata" (Mt 20,7).
Nel crocicchio i braccianti ancora borbottano, guardano
con sprezzo la moneta sul palmo della mano. Il loro datore, in tre domande
chiare e severe, li ammaestra al suo linguaggio: "Amico, non ti faccio torto". Splendida questa cortesia che il
padrone usa per sciacquare le mormorazioni dei suoi operai, che son le mie
mormorazioni in fin dei conti. Chi tra noi, infatti, non si scandalizzerebbe se
dopo aver lavorato con fatica per un giorno intero si vedesse retribuito con la
stessa cifra riservata all’ultimo arrivato? "Amico"
dice il padrone – … Non c’è presa in giro in quest’espressione, non vi è
nascosta ironia, non s’avverte nessun frammento di ironia… ma un disperato
bisogno di ri-allacciare un legame spezzato, di ri-disegnare una relazione tra
il padrone e la manovalanza. Provocatorio
rimane il comportamento del padrone che vuole suscitare un caso, facendo
volutamente assistere i primi operai al pagamento degli altri assunti al lavoro
in ore successive. Quant’è scomodo ammetterlo… ma il Vangelo è il campo degli
scandali. Non passa quasi giorno di quei mille che vanno dal fascino di
Nazareth alla severità del Calvario, non si volta quasi pagina che il frullo di
simili eventi non vibri sulle storie degli uomini incrociati da Gesù.
Provocazione pura… anche se il padrone non è venuto meno all’accordo: un "denaro"
era stato pattuito, un "denaro" è stato pagato. Quel padrone ha pagato loro non
solo il lavoro, ma anche la loro pena di vedersi rifiutati, lo struggimento di
un giorno in cui nessuno li ha voluti. "Oppure
tu sei invidioso perché io sono buono?"
. E’ una domanda intelligente questa
che il padrone rivolge all’operaio che si lamenta, una domanda che si cala nel
pozzo profondo della verità. E’ una domanda giusta! I primi operai non si
lamentano perché è stato tolto loro qualcosa, ma semplicemente perché è stato
dato anche agli altri quanto è stato dato a loro. "Non posso fare delle mie cose quello che voglio?". Ecco dove se ne
sta nascosta la chiave di lettura dell’intera parabola, nella libertà del
padrone. La sua risposta non equivale a dire "faccio ciò che mi pare e piace". Tant’è vero che il padrone della
vigna non caccia gli operai, ma dialoga, spiega le sue ragioni, cerca di far
loro capire che le lamentele sono ingiustificate… cerca di addomesticarli alla
sua libertà. "I miei pensieri non sono i
vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie"
(Is 55,8) – canta Isaia
nel suo celebre passo. E’ un Dio libero quello d’Israele, un Dio Salvatore che
sfugge ad ogni tentativo umano di cattura, un Dio che trascende ogni misera
possibilità di immaginazione e di comprensione, un Dio che sorprende e
stupisce, un Dio incomprensibile e affettuoso, un Dio che accompagna e
ammaestra non sottraendosi ma nascondendosi…. Un Dio che si consegna solo a chi
lo cerca. Un Dio, infine, alternativo all’uomo.

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Mi son chiesto: parabola per giusti o per peccatori?
Per entrambi, penso. Scritta per i peccatori per annunciare loro la lieta
notizia che non saranno più "ultimi". Raccontata per i giusti per ammonirli a
non rinchiudere Dio nello spazio angusto della loro parziale giustizia. Per
giusti e peccatori è un invito alla conversione che nasce dall’inatteso
incontro con un Dio che prende per mano l’umanità e l’accompagna passo passo al
di là delle strettoie del diritto per farla passeggiare nelle praterie della
gratuità.

Signore,
chi l’avrebbe mai detto che anch’io sono un genio.
Non ho mai fatto chissà quali invenzioni,
non ho mai scoperto chissà quali teorie
eppure anch’io posso essere un genio.
Grazie, Signore, perché mi hai fatto originale,
non con lo stampino;
grazie con tutto quello che sono con tutte le mie doti.
Grazie perché mi chiami
a venire fuori con la mia originalità
e mi chiami a dare all’umanità un contributo
che solo io posso dare.
Signore, fa che io rifiuti la strada più comoda,
ma anche più squallida,
di intrupparmi, di fare quello che fanno tutti,
di non distinguermi dagli altri.
Signore, fa che io non abbia paura di essere me stesso,
di essere e-gregio, uno che sta fuori dal gregge.
Voglio proprio guardarmi dal pericolo
di farmi clonare.
Così potrò dare al mondo intero
quell’apporto che solo io e nessun altro può dare.

Amen

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