Mark Maclean da everystockphoto.comLupi, delinquenti e assassini. Costretti per illegale libertà a fare d’una cella di galera il punto d’osservazione sul mondo. Le sbarre come rami d’albero che velano l’orizzonte, il grigiore come rievocazione di nebbie settembrine su colli di silenzio e quel chiavistello il cui rumore rimpiazza il rintocco dell’Ave Maria. Al Carcere Regina Coeli vegetano i lupi, i delinquenti, gli assassini.
La periferia vigliacca.
Assassini armati di cuore e d’immaginazione. Che, calato il sole, hanno paura. D’essere soli, abbandonati, traditi. Del passato, del presente, del futuro. Dell’amico, del nemico, di loro stessi. Della guardia, delle sbarre, della notte. Del silenzio. Perché dentro il lupo scampa l’uomo: che ha sbagliato, che deve pagare, che vuole risorgere. Che non accetta di credere che l’abat-jour faccia le veci del sole. Immagina prati coi girasoli, carezze di bambine, fruscio di capelli al vento. L’eco di un sogno evangelico: incappare in Qualcuno che alle cinque del pomeriggio conceda una chance. Per riaccendergli la fisionomia di un mondo da riscattare.
Manganelli, spranghe, lucchetti. E il lupo rimane distante. Ma, tornato, l’accompagna una ferocia inattesa. Una carezza, una parola, un’evocazione. E il lupo s’addomestica, s’ammansisce, s’intenerisce. Perché nessun lupo ci guadagna a rimanere solo nella steppa.
In carcere ci s’appisola con mille interrogativi. E una verità: l’uomo è capace dei più smisurati crimini. Ma anche delle più impreviste risurrezioni.

Foto: Mark Maclean

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