Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
Festa-Oratorio-2010

C’è chi li porta convinto che sia un “asilo nido estivo”, chi li scarica come se fosse un “parcheggio comunale gratuito”, chi addossa ad altri la responsabilità di riempire giornate altrimenti lasciate vuote. Certamente c’è anche chi conosce e apprezza la proposta educativa, chi si ritaglierà del tempo libero per quella manovalanza che in parrocchia sovente è l’altra faccia della Provvidenza, chi consapevolmente affida la prole alla comunità parrocchiale del quartiere. Non importa quale sia la provenienza e forse nemmeno quale sarà la destinazione ad estate finita: ciò che conta per la parrocchia è fare in modo che quest’estate ognuno si senta a casa propria. E in un tempo di porte sbattute in faccia, fare esperienza di una porta aperta è assaporare quell’ospitalità che, se condivisa da più mani, renderebbe più umana la vita di un quartiere.
Dentro il groviglio di una città, nel mezzo di palazzoni issati verso il cielo, sagomati dal recinto delle proprietà private, d’estate il campetto dell’oratorio diventa il simbolo della sfida educativa di tantissime parrocchie: dare alle flotte di bambini che vi accorrono gli strumenti per poter fare della loro esistenza un capolavoro. Per chi l’osserva da fuori, l’estate della parrocchia può sembrare “dovuta” e “improvvisata”. Eppure di dovuto non c’è proprio nulla: è il tempo donato dagli animatori e da molte persone di buona volontà (oltrechè di grandi vedute) a rendere possibile la realizzazione di un piccolo miracolo educativo. Anche in tempi di crisi del volontariato, ogni estate si gratta nel fondo della cisterna e, splendidamente, sembrano essere rimasti giusti i frammenti di tempo necessari per fare anche di quest’estate un’occasione di umanizzazione. Nulla di dovuto e pochissimo di improvvisato: i più ci lavorano mesi e mesi per rendere semplice un concetto difficile, per tradurre in un gioco un insegnamento apparentemente ostico, per costruire sentieri che poi la Grazia renderà strade da percorrere durante l’anno. E’ l’aspetto più nascosto e taciuto dell’estate parrocchiale, ma anche il tesoro più bello del quale il tessuto delle nostre comunità va’ fiero: trasmettere alle storie giovani la bellezza di giocarsi il presente. In un’epoca nella quale per truffare i giovani si ama promettere loro il futuro sottraendo la possibilità di giocarsi il presente, in parrocchia si ama tentare l’avventura opposta, ch’è la più valida umanamente: giocarsi il presente in modo tale da costruirsi il futuro. E’ qui la sorgente dell’inaudita scoperta cristiana: il futuro – che il cristianesimo ama chiamare arditamente “eternità” – non è un qualcosa che capita all’improvviso ma è la trama di una storia che si gioca nei piccoli gesti di tutti i giorni. Quelli che fanno di una vita apparentemente insignificante, un anticipo di eternità già nell’oggi.
Quando finirà l’estate, ci sarà gente che tornerà a lamentarsi per il volume delle campane, che magari sbufferà alle proposte del parroco, che continuerà a trovare scusa per dire “non sono potuto venire”. Eppure si potrà scommettere fin d’ora che nessuno di quelli che quest’estate darà l’anima (animatore significa proprio “colui che dà l’anima”) sentirà nel suo cuore senso di fallimento alcuno: in parrocchia lo sanno anche i muri che la grandezza di un uomo si misura dall’intensità dei suoi sogni. Sogni che possono avverarsi nel tempo di un’estate ma anche nell’attesa di qualche anno, o forse decennio. Nulla importa a coloro che per amore decidono di seminare speranza nel cuore della storia. Ciò che conta per davvero è aver testimoniato con la propria vita che il cristianesimo non è una morale da imparare a memoria, ma il racconto di un incontro che ha ridato importanza alle cose più semplici.
Infondendo in loro un significato luminoso.

(da Il Mattino di Padova, 16 giugno 2013)

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