Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Ecco quanto è buono e quanto è soave
che i fratelli vivano insieme!
È come olio profumato sul capo,
che scende sulla barba,
sulla barba di Aronne,
che scende sull’orlo della sua veste.
È come rugiada dell’Ermon,
che scende sui monti di Sion.
Là il Signore dona la benedizione
e la vita per sempre.
(Sal 133)

Dio benedica l’uomo, per la sua innata capacità di fare gruppo, di giocare in squadra, di cooperare.

Dio benedica l’uomo per la sua leggerezza, per la capacità di estraniarsi dal contesto presente, con cui dissipare la gravità di mille pensieri, fosse solo per non pensare a niente o per condividere una bella birra assieme.

Dio benedica l’uomo, per la sua stabilità emotiva, legata all’esperienza psico-fisica dell’assenza di periodicità.

Dio benedica l’uomo, per la sua capacità di orientarsi nello spazio, anche in un percorso ignoto.

Dio benedica l’uomo perché, affascinato dalla bellezza femminile, è spinto a comprenderne l’intricato e labirintico universo.

Dio benedica l’uomo, perché mi ricorda che “presto e bene non va mai insieme”: ogni attività richiede il proprio tempo e il proprio spazio e forzare la convivenza di più attività costringe, spesso, solo a farne tante, ma tutte male, senza cura, attenzione, dedizione.

Dio benedica l’uomo, per la migliore capacità di analisi valutativa oggettiva, senza lasciarsi influenzare dall’aspetto emotivo (che potrebbe, invece, intaccarla)

Dio benedica l’uomo, ogni volta che si ricorda che sa usare la propria forza, con intelligenza e controllo, per alleggerire il carico di lavoro di chi è più debole.

Dio benedica l’uomo, perché anche l’aggressività, quando permeata di fraternità, non è altro che “affetto calcato nelle ossa”.

Dio benedica l’uomo, per tutti quelli che mi hanno spinta ad uscire dal guscio, per mostrare al mondo la bellezza della mia unicità.

Dio benedica l’uomo, che, con la sua pragmaticità rivolta alla concretezza, mi insegna ad abbandonare il regno delle ipotesi dei se e dei ma, per correre il rischio di buttarmi nella mischia.

Dio benedica l’uomo, per l’entusiasmo con cui si dedica agli ambiti in cui si appassiona, che riesce a comunicare, come per osmosi, anche senza renderne esplicitamente conto.

Dio benedica l’uomo perché, nella sintesi, compendia l’essenziale.

Uguali nella dignità, ma differenti e complementari.  Solo in un dialogo costante – fecondo e profondo – l’uomo e la donna possono – davvero – approfondire la propria identità, meglio comprenderla e meglio prenderne consapevolezza, perché è proprio il reciproco confronto, schietto, leale ed eventualmente ironico (e autoironico), ad essere motivo di arricchimento per ambo i protagonisti della storia umana. 
Il Novecento è stato – giustamente, perché a lungo ciò è stato messo in discussione – segnato da movimenti culturali e politici, che hanno voluto rivendicare l’uguaglianza sociale e politica e – di riflesso – ontologica ed antropologica della donna.
Cosa succede, però, se, a furia di insistere sull’uguaglianza, perdiamo di vista le differenze specifiche?
È come avere un armadio pieno di scarpe destre (o sinistre). Dove mettere l’altro piede?


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