Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

1984La loro risposta l’hanno scarabocchiata nei muri: 1984. Aggrappandosi al titolo di quel romanzo di George Orwell che tanto rispecchia i tempi dell’uomo, assai lenti a cambiare la fisionomia. Nei muri delle scuole e nei cassonetti delle immondizie, su qualche zainetto e sopra qualche poster elettorale capita ultimamente d’imbattersi in questa data a qualcuno forse anonima. Non a coloro che, inseguendo i passi della giovinezza d’oggi, cerca di rubare anche ai graffiti qualche suggerimento per trovare le coordinate di dove abitano i nostri ragazzi. La loro è una risposta silenziosa, appariscente e creativa. Nel romanzo di Orwell, il mondo è in preda a tre incubi: il Grande Fratello che tutto vede e tutto sa, la psicopolizia che di lui è il braccio che vaporizza i sospetti, le telecamere che spiano di continuo nelle case. In questa città nulla è proibito, a patto che si faccia sempre e solo quello che dice il Partito. Fedele e coerente al suo motto: “L’ignoranza è forza. La guerra è pace. La libertà è schiavitù”. Solo due giovani, Winston Smith e Julia lottano all’inverosimile per conservare un briciolo di umanità. Fino a qui la trama del romanzo che, celata dietro quella data scritta sul muro, racconta di un parallelismo perfetto che abita la mente di qualche ragazzo, perlomeno di chi l’ha scritta: che quel romanzo non sia scaduto.
C’è la protesta dei cortei rumorosi, dei manifesti offensivi, delle dittature morbide: ma c’è anche la protesta creativa di chi, sintetico al massimo, stampa una data come monito e avviso di un clima faticoso da accettare. Perché è come se dicessero che il mondo che abitano assomiglia troppo a quello dipinto nel romanzo letto. Dove due sono le idee interessanti e devastanti, al di là dell’intera trama: potere significa ridurre la mente dell’uomo in pezzi da ricomporre poi a proprio piacimento e cancellare le emozioni, lasciando vivere solamente la paura, la collera, l’esaltazione e l’umiliazione. E il lavoro è semplice da svolgere: basta penetrare nei recessi mentali più nascosti dell’uomo per poi rimodellarlo da cima a fondo. Fino a far diventare l’uomo una sola bocca che dica quello che vuole il potere e una sola mano che firmi quello che gli vien chiesto di firmare. Fino a dover accettare che la storia venga riscritta, corretta e manipolata per dare il senso di un’apparente linearità alle vicende dell’umanità. Letta alla luce del romanzo, quella scritta che compare nelle strade vale più di una ribellione, s’avvicina più alla denuncia e alla collera: perché è il grido non tanto silenzioso di una fetta di gioventù che s’accorge d’essere smontata e rimodellata nel pensiero, stanca di vedere falsificata la realtà, schiacciata da uno stile d’informazione riscritto dai vincitori. L’averla scritta è già un avvertimento di stanchezza in corso: ignorarla sarebbe come quel re evangelico che va in guerra senza sapere di quante unità ha bisogno per vincere. Spesso i giovani sono eleganti nel loro protestare e nel loro incedere: avvisano e poi, anche se inascoltati, agiscono. Per salvare quel briciolo di umanità e di dignità che li faccia assomigliare al protagonista del romanzo di Orwell, convinto che dentro di te non possono entrare. E che “se riesci a sentire che la dignità vale anche senza sortire effetti pratici, allora sei riuscito a sconfiggerli”.
Le campagne elettorali, le false promesse, le lentezze di chi dei giovani si limita a dire che sono il futuro. Le bugie e le manipolazioni della realtà, l’angoscia dell’avvenire e la voglia di non farsi schiacciare. L’avvisaglia della ribellione, il sogno di un sano protagonismo, l’aspirazione ad un’umanità migliore. L’assuefazione e la denuncia di un modo di condurre il bene comune che non appassiona. Tutto ciò in una striminzita data: 1984.
Scarabocchiata come avvisaglia per le vie della nostra città.

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