Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Domande caricate come fucili. Lui è il grande interrogatore, Colui al quale i cuori gli obbediscono. Loro, invece, sono solamente uomini: Dodici, uomini non più uomini, costituiti apposta dall’Albero-Maestro perchè stessero con Lui. Poi – ma solamente dopo – perché andassero a predicare ciò che avevano vissuto: senza vissuto, cos’avrebbero narrato? Più giusto dire che “ne fece Dodici”: è il Maestro che li fa venire al mondo, li dota di una forma, un’esistenza, anche una missione. Potevano, dunque, essere banditi, ladri, mercanti mercenari: ciò che erano, quello che erano, dopo quella creazione non conterà nulla. Coloro, tra questi, che si lasceranno fare, saranno capaci di mettere sotto-sopra il mondo quasi fosse un calzino. La storia è perenne dimostrazione della predisposizione di Dio nello scegliere le canaglie. Tutt’al più a far cadere la preferenza su gente incapace: Giacobbe era un imbroglione, Davide era adultero, Noè si ubriacò di brutto, Giona scappò da Dio, Gedeone era fortemente insicuro, Mosè pativa per balbuzie, Abramo era vecchio, Elia un lunatico. Questi furono scelti dal Padre, il Figlio non muta affatto: Pietro un impulsivo, Paolo un persecutore, Tommaso un diffidente. Anche i migliori amici, pur amici, erano apostoli per carattere: Marta era ansiosa, esattamente come Sara era impaziente, sempre sul punto di ridere in faccia alle cose-impossibili dette da Dio. Mai – né Padre né Figlio – scelsero gente capace in materia di Regno e quant’altro. Ciò che fecero, però, fu doppio per stupore e sorpresa, è ancor oggi materia d’indagine di saputelli: prese degli incapaci – gente poco capace – e li rese capaci.
I Dodici più capaci dei Vangeli.
Capacità è termine di prestazione: dell’atleta, del muratore, del navigante. È di gente “capace di far cose straordinarie” È anche termine di contenimento, parola-contenitore: litri-ettolitri, quintali-tonnellate, metri cubi. Capacità del fisico, di cuore: “È gente capace di Dio”. Di reggere l’urto-di-Lui, di reggersi su-di-Lui per spingersi oltre. A costoro, mica a improvvisatori, fece domande-a-raffica. Sferrò, in giorno d’agguato presso Cesarea, la più cardiaca delle domande. Per preparare i cuori, li aveva portati a spasso per confini, zona nord-ovest dei suoi passeggi: Tiro, Sidone. Sempre sulle labbra la medesima litania: «Che il Regno di Dio è dentro di noi, che le osservanze sulle abluzioni non servono nulla per la salute. Ciò che macchia l’uomo non viene da fuori: è lui l’artefice della propria sozzura» (F. Mauriac). Avran capito, non avran capito, chissà se avran capito: in materia di Regno non erano affatto dei geni d’intuizione. Per questo, lungo la strada, agì di sorpresa per eccitare la loro conoscenza di Lui: guarì un’ossessa della Siria, fece vedere un cieco. A un sordomuto mise le mani nelle orecchie, ad un cieco lisciò la lingua di saliva. Lo fece per loro, non per Lui: Gli premeva capissero da soli Chi era. Per il mondo, prima ancora in riguardo a loro stessi.
Lo chiede, dunque, perché l’unico modo per sapere una cosa è chiederla: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’Uomo?». Nient’affatto d’affetto la risposta che trae: «Giovanni il Battista, Elia, Geremia. Un profeta». Uomo-gigante, uomo del passato. Cristo è venuto per il presente, però: la domanda non lo soddisfa in materia di cuore. Stringe al muro il mondo: «Ma voi, chi dite che io sia?» I cuori sono al muro, col bavero al collo, in divieto-di-fuga: “Cosa me ne importa della gente. M’interessi tu: chi sono io per te?” Scrutate gli occhi del pescatore impulsivo, in stato-di-Grazia: «Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente». Il Maestro: “Valgo qualcosa per te, Pietro?” Il discepolo: “Tu sei Vivente. La mia ragione-di-vita: «Tu sei Pietro, su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno contro». Effettivamente fu affettivamente che li andò a colpire: “Mica m’importa sapere Chi sono. M’importa sapere se siete innamorati, oppure no”. Pietro, quest’oggi, regge la partita: “Tu sei vita per me”. La meraviglia non torna mai con lo stesso volto: “Marco, chi sono Io per te?” La domanda, posta anni addietro, è tutt’ora in corso: in materia di fede, sopravvivo per una somma di risposte-senza-chiamata.
Il contrario delle chiamate-senza-risposta.

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». 
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 
Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo (Matteo 16,13-20).

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