Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
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L’imbarazzo – dentro le mura vaticane come sotto qualche veste talare – dev’essere quello dei giorni più nefasti: lo Spirito se lo sarà anche andato a cercare alla “fine del mondo” questo Papa, ma stavolta sembra davvero aver cacciato i sospetti di chi oramai pensava che lo Spirito Santo si fosse preso un periodo sabbatico, lasciando la Chiesa nelle mani di qualche mosca cocchiera. Invece, puntuale come al suo solito, ha dato un cenno di vita che sta valendo un colpo d’ali inaspettato nella freschezza della Chiesa.
Un Papa che parla il linguaggio della gente comune, che alla parola dotta dei rabbini preferisce l’immagine semplice dei bambini, che all’austerità della sua autorità preferisce quell’amabile presenza che lo fa sentire uomo tra gli uomini, che alla ricerca della “distanza di sicurezza” preferisce il rischio della vicinanza umana. Ha detto “buonasera” e non “sia lodato Gesù Cristo” quando è apparso al balcone della loggia vaticana: così facendo ha dati a tutti – anche a chi non ha il dono della fede – la sensazione di essere un suo compagno di viaggio. La domenica dal balcone non conclude mai dicendo “andate in pace” ma preferisce un più amabile “buona domenica e buon pranzo”: così facendo anche chi si è appena alzato per pranzo si sente coinvolto in simile augurio. Una cortesia – quella cui ci sta abituando papa Francesco – che non è da confondere con una mancanza di carattere ma con una piena consapevolezza di cosa sia per davvero il cristianesimo, sulla scia delle parole di un suo vecchio predecessore: “il problema è la fede separata dalla vita, la fede che non è più capace di generare cultura. E’ da qui che si deve ricominciare, dalla testimonianza che il cristianesimo è umanamente conveniente. Altrimenti si fa solo del moralismo” (Giovanni XXIII). E’ umanamente conveniente: cioè è un supplemento di umanità, l’occasione per l’uomo di essere più uomo, una chance di maggior guadagno in termini di quotidianità e di speranza.
Lo stupore arrecato dalla vicinanza di questo Papa – la cui semplicità di stile e linguaggio è tutt’altra cosa dall’ignoranza teologica sospettata dai dotti – viaggia di pari passo con un sospetto che avanza sempre più deciso: che per tanti anni troppe persone abbiano fatto del cristianesimo un trattato di dottrina invece che un messaggio d’amore, un fortino dentro il quale difendersi piuttosto che una tenda nella quale ospitare il diverso, una summa di leggi da osservare piuttosto che un pentagramma sul quale udire la freschezza della storia. Papa Francesco è un uomo che ama usare i verbi al tempo indicativo perchè il Vangelo non è un amarcord ma un invito per oggi; e quando non usa l’indicativo usa il condizionale per manifestare il suo desiderio del possibile o il congiuntivo per additare a dove possa arrivare l’uomo quando si lascia abitare dalla freschezza del Cristo dei Vangeli. Per troppo tempo la Chiesa ha usato l’imperativo, confondendo la sicurezza di Cristo con l’arroganza di chi pensa di averlo imprigionato dentro casa sua.
Per un popolo conquistato, c’è un popolo imbarazzato dentro la Chiesa: perchè da qualche mese la veste non assicura più immunità alcuna, la sacrestia non è più additata come “luogo privilegiato” di predicazione apostolica, il pettegolezzo non è più l’alfabeto autorizzato dentro la Chiesa. Ci sono parole nuove che si odono: novità e slancio, passione e fiducia, cuore e fervore. Ci sono immagini struggenti e severe: “odore del gregge”, “siate madri, non zitelle”, “cristiani da salotto”. C’è un uomo che, forse, sta facendo piazza pulita di una vecchia immagine di Chiesa, quella nella quale bastavano quattro giaculatorie, tre inchini e qualche baciamano ai prelati per sentirsi cristiani. Se lo lasciano vivere (il condizionale è d’obbligo nella storia della Chiesa, ndr), sarà un papa sorprendente, perchè convinto davvero che il Vangelo sia nato sulla strada e sulla strada debba continuare ad abitare. Per non tradire.

(da L’Altopiano, 25 maggio 2013)

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