Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Ce l’ha inscritto nel nome: Gesù, Dio-che-salva. Eppure al lebbroso che tornò di corsa da Lui dopo essersi scoperto guarito non disse “Ti ho salvato” quanto piuttosto “La tua fede ti ha salvato”. Un incidente di percorso, quello col Maestro, tra i migliori che la vita avrebbe mai potuto riservargli. A correre si impara camminando: trasgredire per credere! Del resto, Cristo non perse mai occasione di palesare ai suoi amici più cari e alle folle che lo braccavano che il senso della Sua venuta era tutta una trasgressione: mutare centinaia di precetti in un solo comandamento non era certo opera ordinaria. Cristo, in quel giorno di andirivieni spossanti, di fiato corto e di muscoli slabbrati fu il primo ad iniettare un’alta dose di vitaminiche trasgressioni nelle vene infedeli e pagane dell’umanità. Lo fece variando il suo percorso: Egli, col volto indurito e il piglio spedito di chi ha come meta il Nord di Gerusalemme, decise, quel giorno, di attraversare il Sud della Samaria e della Galilea, imbattendosi nelle carni corrose dalla lebbra di dieci uomini, un’intera comunità. Dieci come anche le dita delle mani e dei piedi. Dita rattrappite di mani incapaci di accarezzare, di donare, di ricevere. Dita indurite di piedi piagati, troppo callosi per camminare. Si trascinarono a stento quei dieci davanti al Maestro, sulla pelle avevano la morte, nel cuore solo un rantolo: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». A Cristo non capitava tutti i giorni di essere riconosciuto Maestro, né di essere chiamato col proprio Nome: fu l’inizio di un’amicizia. La trasgressione, pur rispettando la Legge, fu quella di inviarli sui propri piedi laddove non potevano andare: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». Ciò che sembrava traguardo fu in realtà una (ri)partenza. Quei piedi che avevano conosciuto la fossa, abitato le trincee dell’isolamento e del fango, iniziarono a sentire nuovamente la polvere calda della strada, sentirono di appartenere di nuovo alla terra. La strada della fiducia incrociò, appena dopo la prima curva, quella della guarigione. Non bisogna aspettare di essere perfetti per camminare, «quando non potrai camminare usa il bastone, però non trattenerti mai!» (Madre Teresa). I pezzi di lebbra si scrostarono via via: «mentre essi andavano, furono purificati». Uno di loro, mentre la lebbra spariva e il suo corpo riacquistava il vigore e l’energia di un tempo, trasgredì: «Tornò indietro lodando Dio», lo fece di corsa. Come Pietro e Giovanni all’alba nel sepolcro, a riaccreditare fiducia alla Vita, dopo la morte. Come Paolo, dimentico del passato e proteso verso il futuro. Il Samaritano della squadra fu il primo maratoneta a conquistarsi il podio della salvezza: i piedi del Cristo. Divenne atleta nella gratitudine, campione nella fedeltà. «Quanto é dura la salita, in gioco c’è la Vita, uno su dieci ce la fa». 

«E gli altri nove dove sono?»

«Cristo attende. Il suo silenzio questa volta è ostinato, si direbbe che voglia aspettarli. Nella piazza stagna una delle pause più lunghe del Vangelo. “Non ne sono stati guariti dieci?” Anche gli altri devono arrivare, è impossibile che manchino all’appuntamento, conviene aspettarli. Perché è così interminabile questo silenzio? Gesù sta chiamando uno per uno gli assenti col loro nome. A ognuno ripete la sua richiesta: “Dove sei?”» (L. Santucci).

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