Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

 Wagner

Il regno di Giuda è stato conquistato dai Babilonesi ed ha perso la libertà: questo è il contesto in cui Baruc, segretario del profeta Geremia, scrive il testo penitenziale contenuto nella prima Lettura, nella quale troviamo, anzitutto, un richiamo alla propria condizione di peccato, in base alla quale diventa comprensibile la perdita della libertà. Solo nel finale, avviene la richiesta:

«liberaci per il tuo amore e facci trovare grazia davanti a coloro che ci hanno deportati, perché tutta la terra sappia che tu sei il Signore, nostro Dio» (Bar 2, 14-15).

Stupisce ed al contempo mostra un reale pentimento. Il profeta individua, infatti, nell’allontanamento da Dio l’origine di ogni sciagura. La consapevolezza del peccato aiuta a comprendere che «tutto è grazia», persino quello che, ad occhi torbidi, dà tutta l’impressione d’essere niente più che dis-grazia. Che altra definizione potremmo infatti trovare per ciò che è brutto, senza proporzione, malato, debole; tutto ciò che ci urta, ci infastidisce, ci toglie il sonno, ci complica la vita?
Alle volte, la prima cosa da cambiare è lo sguardo, con cui osserviamo il mondo e la nostra vita. Alle volte, basta sostituire il sospiro che segue la constatazione di un imprevisto («che sfiga», il più gettonato) con un proposito più assertivo, come «che sfida!».
Il regno di Giuda, è prigioniero, sottomesso. Eppure, in questa situazione spiacevole, rimane possibile un’opportunità. Comprendere gli errori, la sfiducia, la rassegnazione del passato ed iniziare, fin da subito, con maggiore impegno, pur nella fatica delle privazioni, a riprendere la via del bene, della generosità, della fede in Dio.
Nell’immagine dell’Antico Testamento, la mancanza di fede, che spesso sfocia nell’idolatria (cioè il culto agli altri dei) è paragonata all’adulterio, di cui la vicenda del profeta Osea diventa paradigma.

Nel Vangelo, troviamo una giornata-tipo di Gesù, nella quale, alterna la preghiera personale (sul monte degli Ulivi), con quella collettiva, al Tempio e con l’insegnamento, perché tante persone accorrevano a Lui, assetate di quella Parola, che in Lui si manifesta viva e operante, con segni e prodigi, ma soprattutto, tramite un insegnamento che si rivela “più autorevole degli scribi”.
Durante questa predicazione, si avvicinano scribi e farisei, «per metterlo alla prova». Portano con sé una preda ghiotta: una donna sorpresa in flagrante adulterio. Non un pensiero peccaminoso, non un’intenzione: colta sul fatto.

«Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?» (Gv 8,5)

La Legge è chiara. La donna è già condannata, con il suo peccato. Si è completamente identificata con esso. Ai loro occhi, è già coperta di pietre, sepolta. I loro sguardi sono sopra di lei, più taglienti delle pietre. Una piccola folla si accalca, tutt’intorno. Forse, lei neppure se ne accorge. Con lo sguardo basso, a cercare di farsi più piccola, quasi a voler scomparire.
Il Maestro continua a scrivere per terra, non li degna di uno sguardo. Solo al loro insistere, sbotta: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7).
Lentamente, dal primo all’ultimo, se ne vanno tutti. Anzi, l’evangelista ci tiene ad annotare: «cominciando dagli anziani». Si dice che l’aumentare degli anni aumenti la malizia perché, senza il ricorso alla Grazia, il Male incancrenisce.
L’adultera, stupita, si trova a tu per tu con il Maestro. Ha una nuova opportunità. Finisce sotto uno sguardo diverso. Uno sguardo che non condanna, ma dona la forza di rialzarsi, anche dopo la più rovinosa delle cadute. Che non minimizza, non giustifica, ma prende per mano e pone di fronte al male, ma comprende il pentimento, prima ancora che sia palese perfino al cuore di chi lo prova.

 

L’amore non contrasta la Legge, ma la supera. Perché l’amore conosce la generosità, che va oltre.

La misericordia è una giustizia più generosa, che non dimentica la Legge, ma ricorda – sempre – di aver di fronte una persona da amare, al di là di ogni possibile colpa.

 

Rif: letture festive ambrosiane nella penultima domenica dopo l’Epifania – domenica “della divina clemenza” (Bar 1, 15a; 2, 9-15, Rm 7, 1-6, Gv 8, 1-11 )


Fonte: don Raffaello Ciccone, Parole Nuove

Fonte immagine: ciclistibrutti

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