corrida

Una corrida è quello che vogliono a tutti i costi, costi quel che costi. Tanto, quella donna è viziosa: ingrata, profanatrice, pure sgualdrina. Quasi bestia. «Tu che ne dici, Maestro?» (Gv 8,1-11) La loro è una condanna senza appello: sassi a palate, sputi alla rinfusa. Lui, Parola maiuscola, giace in posizione minuscola: per terra, silenzioso, scrivente. Loro a dare-di-clava, lui a rispondere con parole annotate sulla sabbia: poche cose arrecano odio al furioso più dell’indifferenza di chi non gli accredita il minimo interesse. Doppiamente astiosa quella muta d’uomini: “Parliamo a te, Maestro, rispondi”. Lui, da par suo, tace, s’intestardisce nei suoi scarabocchi: annota appunti, scribacchia impressioni, suggerisce dei flashback. Oppure, chissà, rammenta loro il passato: “usuraio, falso, assassino, adultero, bestemmiatore da trivio, infedele”. Mica mollano (liturgia della V^ domenica di Quaresima).
S’alza di getto, Lui; loro, turbati, son scossi come studenti all’aprirsi del registro. Lo sguardo della Luce è una lama fendente, mette all’angolo, spoglia: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». Parla alla suocera, però capisce la nuora: nemmeno come oratore è alle prime armi. Mica dice “non lapidatela!”: si sarebbe messo contro la Legge. Mica dice “lapidatela”: nel mondo è venuto per tutelare gli stecchini di legno come lei, non gli architravi di calcestruzzo come loro. Risponde ch’è una festa dell’udito: «Prego: chi è immune dal peccato, rompa il ghiaccio». Poi ritorna al fatto suo: a scrivere per terra. Quando il fuoco è pronto, basta una scintilla: «Ognun di loro rivide i suoi tradimenti (…) Ogni anima fu come una fogna che, alzata la lapida, manda al cielo una zaffata d’odore» (G. Papini, Vita di Cristo). Mica li ha condannati quell’Uomo, semplicemente ne ha scoperchiato l’anima: «Se ne andarono (…) cominciando dai più anziani». Molto di più di un piccolo particolare gettato alla rinfusa da un evangelista mai banale: quella anziana è una memoria densa. Tempo qualche attimo e l’arena si svuota, la corrida non parte, lo spettacolo è rimandato a data da definirsi. Solo lei rimane: prostrata, piangente, umiliata. Forse sorpresa pure lei dalle parole fendenti del Maestro. Anche Lui è rimasto: Lui e lei, miseria e misericordia. Rompe il ghiaccio Lui. Siamo rimasti soli, io e te, guardami, dimmelo: «Dove sono? Nessuno ti ha condannata?» E’ un incanto la voce, un brivido la novella: «Nessuno, Maestro». Eggià: «Neanch’io». Punto.
Svendita totale? L’esatto suo opposto: «Và (…) non peccare più». Ancora donna, ancora stagioni d’amore, ancora sguardi possibili. Nessuno seppe mai se quell’anima provò contrizione per aver spartito la carne con storie foreste. In fin dei conti a spingerla là nel mezzo fu una muta rabbiosa di cani randagi: mica scelse lei d’avvicinarsi a quell’Ebreo misterioso, misericordioso. Ne approfittò la Grazia, quella che «nelle crepe sta in agguato Dio» (Borges): diede modo e tempo a quell’anima di ravvedersi. Se vorrà, quando vorrà, come vorrà. Di quell’incontro, mai divenuto corrida, rimase una porta socchiusa, una sorta di benvenuto perpetuo: «Il confessionale non è il luogo della tortura – suggerisce il papa -, ma il luogo della misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possiamo (…) Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà» (Evangelii gaudium).
A rincasare festante è la donna: ancora speranza in quella vita tribolata. Tutti-a-casa pure gli scribi e i farisei: “Ritenta, sarai più fortunato”. A casa pure gli apostoli, quelli coi compiti più gravosi: annunceranno un Dio che tiene sempre un salvagente di bontà a disposizione di chi sbaglia, di chi pensa di non sbagliare, di chi sbaglierà. Di quest’imputata domenicale che, a fine giornata, s’è scoperta più donna che femmina: certi sguardi sono rivelazioni. Rivoluzioni.

(da Il Sussidiario, 12 marzo 2016)


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