Un muro di cinta,
la voce dell’Astico come sottofondo, l’ombra dei cipressi a difesa dell’arsura
estiva. Poggio la mia bici all’ingresso ed entro nel cimitero di Calvene, il
mio paese che si stiracchia come un bambino verso l’Altopiano. Il cimitero! La
"contrada" che tutela mille segreti: la storia difficile di un paese
millenario, le spoglie mortali dei miei amatissimi nonni, le storie troppo
giovani già salpate verso l’Eterno. Su una di queste tombe sollevo un
foglietto: "Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, mi
vedrai seduto sulla tua pietra…"
(U. Foscolo). Sono giorni, questi, in cui
i cimiteri si trasformano in giardini, le tombe sono vestite da spose, i
defunti sembrano tornati nell’umano vagare. Ma sono anche giorni drammatici
perché ci ricordano la nostra finitezza, il nostro limite. Ci ricordano la fine
di un pellegrinaggio.
Basta che il
campanile faccia risuonare un lento rintocco di campane perché un velo di
malinconia addormenti il nostro affaccendato volto. Di fronte a questo mistero,
anche il più arrabbiato si ferma e medita. Che senso ha vivere, faticare,
sognare, costruire se poi si scompare? Nel cancello d’ingresso della nostra
umanità purtroppo ci sta un cartello: non parlare di morte!
E’ il dramma!
Perché l’uomo, incapace di guarire dalla morte, per essere sereno s’è imposto
di non pensarci. Ma la fantasia dell’uomo, che tanti sogni ha trasformato in
splendida realtà, non è riuscita a schivare il naufragio di molte zattere. E’
su questa nuda roccia che sfavillò lo splendore muto di quella tomba parsa vuota
alle donne il mattino di Pasqua! Il volto bagnato di Maria di Magdala, stregata
discepola del Maestro di Nazareth, è schiarito da una voce: "Donna, perché
piangi? Chi cerchi?"
(Gv 20,15). "Chi vive e crede in me, non morrà in
eterno"
. Non vuol dire che l’uomo non attraverserà più questo scoglio, ma
dopo la risurrezione di Cristo la morte dell’uomo non sarà più assurda e
insignificante. Diventa il profumo che precorre l’Eternità!
Ci torno sempre
volentieri nel mio cimitero. Perché non mi vergogno d’essere figlio di una
comunità che nel cuore racchiude volti di santi dalla storia comune, frammenti
di storia che un domani i nostri figli raccoglieranno. Tramandata con orgoglio
di generazione in generazione.
L’orgoglio di un
figlio che serba geloso i passi di chi l’ha preceduto.

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