Un anno di sport che è valso un guadagno fastidioso per il cuore del tifoso: la paura di gioire troppo per una vittoria per non dover poi, tempo dopo, rattristarsi doppiamente nello scoprire la gestazione di quel gesto atletico. Perché lo sport somiglia ad un romanzo: come un libro non termina con l’ultima parola uscita dalla penna dell’autore ma nel momento in cui finisce nelle mani del lettore, così è dello sport: un’impresa non termina nell’attimo in cui l’atleta oltrepassa il traguardo ma prosegue fin dentro le pieghe dell’animo del tifoso. Cosa possa provocare quell’impatto ce lo racconta l’epica sportiva: sbalordimento e stupore, meraviglia e poesia, gaudio ed esultanza. La cronaca di quest’anno, però, ci racconta anche il contrario, ovvero ciò che sboccia nel momento della delusione: rabbia e amarezza, disapprovazione e sfiducia, sospetto e disaffezione. Fino all’assurdità stessa della fede sportiva: imporsi di non esultare troppo per la paura di venire un giorno tacciati d’ingenuità dalle inchieste giudiziarie e dalla cronaca sportiva.
L’atleta che sbaglia non è un fallimento, rimane una scommessa che si può vincere: nel nome della misericordia cristiana, quella che non cancella la giustizia ma le offre l’occasione di convertire e, forse, invertire uno stile. Perché si può vincere e si può perdere: l’importante è farlo da signori. Per farlo, però, occorrerebbe saper leggere in una mano tesa nel momento della disfatta l’equivalente di una medaglia nel momento della gloria, ovvero una piccola scialuppa di salvataggio. E’ ciò che ho appreso alla scuola di Alex Schwazer e Danilo Di Luca, due sportivi che ho iniziato ad amare nel momento della cenere. Il loro distacco e il loro silenzio sono per me l’evidenza più umana di ciò che testimonia il Vangelo: è più difficile lasciarsi amare che amare, senz’accorgersi che la vera disfatta è il complicare tremendamente la vita a se stessi prima di tutto il resto. Perché chi tende una mano e accredita fiducia se da una parte non fa nulla di eccezionale se non vivere la Notizia Buona del Vangelo, dall’altra non deve arrossire a posteriori: in ogni caso una vittoria l’ha portata a casa, quella di averci provato fino all’ultimo. Fino al punto di sfidare la derisione pubblica: è il prezzo dell’Amore.
In calce a tutto, rimane però un sogno che nessuna malinconia potrà sbiadire: quello di svegliarsi un mattino nel quale dirsi “buongiorno” significhi per davvero augurarsi una giornata buona da vivere. Per tornare a riaccendere quel batticuore sportivo senza il sospetto che un giorno qualcuno ti racconti che quel sogno altro non era che una delusione vestita a festa.
(da Avvenire, 7 agosto 2013)