IMG_0488Non avevo chiesto io di nascere in quel lontano 21 dicembre 1979. E’ stata la più bella conseguenza dell’amore di un uomo di nome Francesco e di una donna di nome Ivette. Adesso di questo dono non saprei più farne a meno: è grazie alla vita che corro, sogno, prego, scrivo, coloro, m’innamoro e tento di spiccare voli per conto di Lui. Per dare un senso appassionato e vincente alla mia sfida d’essere uomo credente, credibile e creativo: uomo di Dio. Oggi sono trentuno anni che vedo sorgere il sole di primo mattino. Negli ultimi sette anni il sole ai miei occhi appare ancor più luminoso e accecante: d’altronde s’è messo di mezzo l’Autore della mia vita a dirigerne le traiettorie. Ultimamente mi alzo e penso che la vera sfida non è quella di un giovane ragazzo che si fida di Dio, bensì lsa follia di un Dio eccellente che osa fidarsi di un ragazzo come me. Poi sposto il pensiero e lo allontano perché una Persona che scommette su di me, armato di così grande follia, io non l’avevo mai trovata. Stanotte sono andato a letto con la mia corona tra le mani, fedele a quell’antichissima liturgia che m’hanno insegnato fin da bambino: quella di mettere sempre le giornate sotto la custodia della Donna in assoluto più affascinante del mondo, quella Maria di Nazareth che ho sempre pregato, venerato e celebrato sul colle di Monte Berico, tanto caro alla gente di Vicenza. L’ho pregata e ringraziata. Perché oggi essere persone felici è un dono che merita un ringraziamento tutto speciale. E dentro trentuno anni di storia c’è stampato tutto un album fotografico che mi parla di Dio. Un Dio che s’è nascosto e si nasconde dietro il volto di chi vado incrociando nel mio cammino.
A loro oggi voglio dedicare la gioia che abita dentro il mio cuore in festa. Alla mia mamma e al mio papà. Nascere per me non è stata un’avventura semplice (primo accenno di un futuro complicato): la natura a volte fa sudare per strappare centimetri di vita all’oscurità. Eppure ce l’ho fatta, assieme al coraggio di mia mamma ce l’abbiamo fatta e così è iniziata la mia meravigliosa avventura della vita. Grazie ad un uomo e una donna che da quell’istante m’hanno fatto trovare la libertà di giocarmi la vita da capitano. Forse sognavano un figlio diverso, magari pensavano ad un futuro diverso, certamente speravano in un figlio dall’esistenza meno imprevedibile. La loro grandezza è ancora oggi quella d’accettare e amare un figlio che ogni giorno rischia qualcosa in più per non tacere la bellezza dell’Uomo che ha incrociato. Con loro i miei nonni alla cui ombra sono cresciuto e diventato grande, della cui tenerezza e delicatezza è rimasto paladino il fratello più bello che potessi trovare nel mio cammino, Sandro. Dietro il mio sorriso e la mia apparente strafottenza c’è al lavoro tutta la diplomazia di chi, seppur più giovane, sa leggere con pazienza i segnali all’orizzonte. Pagando il prezzo di lunghi silenzi e sterminati viaggi: nel pensiero e nella strada. Dietro e dentro la storia di un prete ci sono anche volti di donna che ne costellano e ne impreziosiscono l’umanità. Ecco perché oggi Lo ringrazio perché assieme a Sandro da quasi quindici anni c’è una sorella più piccola che Lui mi ha fatto trovare. A lei il grazie riconoscente per aver imparato col tempo ad amare più il Marco dai lunghi silenzi e dal carattere imprevedibile che il don Marco sorridente e strafottente che spesso appare in pubblico.
E poi oggi è la festa di un sacco di persone che mi hanno voluto e che mi vogliono bene. C’è chi sento mi vuole bene davvero e chi mi vuole bene e basta: ad entrambi il mio grazie. Consapevole che il mio carattere ha un prezzo non indifferente da pagare. Nella vita si fanno degli sbagli, si tenta di correggerli, si prova a migliorarli. A volte si riesce, a volte si fallisce: la vita è tutta qui, una questione di tentativi e di centimetri. A me rimprovero qualcosa, agli altri non rimprovero nulla: in tal modo si favorisce e s’accelera la digestione, imparando a diventare uomini facendo i conti anche con i propri sbagli.
E oggi è la festa Sua. Perché se io oggi ci sono è perché Lui mi ha voluto. M’ha dato la vita e m’ha lasciato sognare. Un giorno me l’ha chiesta e m’ha permesso di portarci in dote i miei sogni. Qualche anno dopo me l’ha rigirata chiedendomi di abbandonare i miei sogni. All’ombra del Cupolone in questi anni romani ho scoperto che ciò che avevo lasciato di mio l’ho trovato decuplicato di Suo. Io un Dio così onesto e sorprendente non lo abbandono manco a morire.
Perché, nonostante tutto, non ho perso nulla della mia vita e dei miei sogni se non la certezza che quello che sognavo da bambino era infinitamente molto più piccolo di quello che Lui aveva in serbo per me. D’altronde in ogni deserto abita un pozzo.
Perché l’uomo non muoia di sete.

Grazie se oggi mi dedicherai l’intermezzo di una preghiera.
Perché io possa rimanere alla promessa che Gli ho fatto.

Don Marco Pozza

***

Oggi festeggerò il mio compleanno nel modo più bello e più veneto che ci sia: lavorando. Il lavoro a volte stanca, ma il senso di inutilità uccide. E allora si ritorna sempre lì, al lavoro e a quel senso di miseria ch’è stata la straordinaria palestra di vita del popolo veneto, dei miei nonni. Lavorerò per Lui: e sarà un modo per dirGli il mio grazie della fiducia che ogni giorno in più mi dona.

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“Il dietro le quinte di un prete in jeans e camicia. Tutto perfettamente intonato, eccetto la voce”
Abbiamo conosciuto don Marco qualche giorno fa nel nostro Liceo Romano. Era venuto invitato da una nostra prof per una riflessione sul tema della giovinezza. Ci aspettavamo il solito prete palloso, ciccione e vestito di nero. Questo arriva che neanche c’eravamo accorti. C’ha stupito il suo modo di fare e la sua voglia di migliorare un po’ il mondo. Finita la lezione ha mangiato un panino con noi al baretto di fronte. Non s’era accorto che nel mentre facevamo le domande, uno registrava. Filippo, uno di noi, ha poi trascritto – sotto forma di intervista – quelle domande. Ed è andato a trovarlo un giorno con la scusa di chiedergli un piacere. Così ha visto dove vive e parlato con chi lo conosce. L’abbiamo pubblicata nel nostro giornalino e gliela facciamo avere per email nel giorno del suo compleanno.
Con la speranza che adesso mantenga la promessa: di venire a presentare il suo romanzo da noi.
(a cura di Filippo G., V^ Liceo Linguistico, Roma)

Simpaticissimo e birbante. Ma anche giovane, cordiale e capace di gesti d’affetto e d’attenzione inaspettati. Oltreché intelligentissimo e forte di un senso dell’intuizione che fa innamorare e ingelosire al tempo stesso. Un grande sognatore che più di qualche sogno, magari partito per scherzo, sta facendo diventare realtà. Corre per non addormentarsi. E correndo ha scoperto che la corsa vale quanto una religione: fino ad unire sport e fede in un sodalizio che gli sta aprendo porte gigantesche. Scrive in modo sublime, canta in un modo miserabile. Chissenefrega: non tutte le ciambelle vengono col buco.
Prega. E forse proprio da qui occorre partire per scoprire chi se ne sta nascosto sotto quei vestiti griffati e allergici alla formalità ecclesiastica.

Chi è Marco Pozza?
Un essere testardo della peggiore specie, caparbio e innamorato. Ma anche imprevedibile e scontroso, amabile e insopportabile, irriverente e devoto. Da trentuno anni sono un miscuglio di sangui, di pensieri e di possibilità.
Sono anch’io dentro l’evoluzione della specie.

La figura del prete oggi.
Qualcosa al bivio tra la meraviglia, la sublimità e la disperazione. Da bambino per me era un sogno. Ora questo sogno è diventato il mestiere più bello di cui potessi essere protagonista. Un prete giovane e colorato è una feritoia bellissima attraverso la quale contemplare il volto luminoso dell’Altissimo.
Amo la mia Chiesa, anche se non è quella dei miei sogni.

Credi in Dio?
Abbastanza. Mi piacerebbe poter dire “sì”. Ma prima devo darmi la risposta ad una domanda precedente: “perché Lui si fida così tanto in me?” Diciamo che formiamo una bella coppia: ci cerchiamo, ci allontaniamo, bisticciamo. Poi a sera facciamo pace e c’addormentiamo sereni. Voglio un sacco di bene al mio Dio.

(gli occhi sono stanchissimi) Dormi ogni tanto?
Quando mi ricordo sì. E’ che certe volte mi dimentico delle ore che passano. Sono così immerso nei miei pensieri, nelle mie preghiere e nei miei passaggi che mi sembra di entrare in un’altra dimensione. Fino a perdere il senso del tempo e non avvertire più rumori attorno a me: è il momento in cui l’ispirazione mi bacia. A volte mi sembra quasi che il dormire stesso sia una perdita di tempo. Capiscimi: sono veneto. La mia terra è una repubblica fondata sul lavoro.

Tu sei un raccomandato?
In realtà la mia anagrafe dice proprio il contrario. Sono figlio orgoglioso di un’impiegata e di un meccanico. Vengo da un paese semplice ma nobile. I miei nonni sono emigrati per sopravvivere alla miseria. In tutti mi hanno insegnato che il lavoro stanca, ma il senso di inutilità uccide. Però sono molto fortunato, anzi fortunatissimo. E di questo ringrazio Dio.

La battuta più feroce che hai fatto finora.
L’ho rivolta ad un gruppo di confratelli più grandi di me qualche anno fa durante un incontro. E ne sono ancora profondamente convinto, anzi di più. Solo che adesso la ridirei con più eleganza: farebbe più effetto.

Qual’è?
La sintesi della mia personalità umana e sacerdotale: “Faccio il pittore, non l’imbianchino” (e scoppia a ridere)

Lo sport.
Da bambino mi ha salvato dalla strada, da adolescente m’ha forgiato il carattere, da prete m’ha insegnato la necessità di tenere ordinata la testa. E’ stato l’alfabeto laico attraverso il quale penso d’aver tradotto il sogno di Dio nella mia vita. Se vinco sono contento, se perdo lo sono lo stesso: perché ho provato sino in fondo a vincere.

Il libro più bello che hai mai letto.
Quello che devo ancora scrivere (e ride ancora). Uno su tutti: I Malavoglia di Giovanni Verga. Quattro sassi sul sentiero, tre faraglioni sul mare, due personaggi al lavoro e una famiglia sfigata: è fiorito l’unico romanzo italiano degno di stare nel comodino vicino ai romanzi del grande Dostoevskij. Parola del critico letterario De Benedetti.

Il peggiore?
Non lo dico per rispetto. Il mio professore-autore è ancora vivo. Comunque era e rimarrà illeggibile: sbaglia addirittura i congiuntivi e i numeri delle pagine. Forse necessita di qualche ripetizione.

Ti lasci consigliare?
Più di quello che appare. Anche se da sempre convivo con una dramma: essendo un fuoriclasse genetico, necessito di gente che sappia metterci mordente attorno alle parole. Sin dai tempi di formazione in seminario ho conosciuto troppa gente capace, ma pochissimi (sono ottimista) capaci con carisma. Dagli ultimi prendo appunti e chiedo spiegazioni, dei primi mi lecco i baffi che non ho.


La scrivania è un concentrato di libri, fogli scarabocchiati, bozze da correggere. Due testi già pubblicati (oltre 10.000 copie vendute in quattro mesi e ora sbarcato in Francia), un romanzo sul mondo dello sport in arrivo (allegato ad un cortometraggio televisivo) e le bozze del suo primo grande romanzo oramai completate: per sei anni abiterà nei banchi delle scuole italiane. Matite colorate, un cellulare vecchio surriscaldato, il volto di Cristo scavato dentro un blocco di castagno. Le medaglie delle maratone, le foto autografate degli amici campioni, il volto di Maria. Il suo libro delle preghiere (mi sfugge il termine tecnico) e la corona del rosario.
Quant’è strana la scrivania di un giovane prete.


Ma è vero?
Sì, mi piace Yamamay: è un problema? Vivo di Provvidenza e non sentirete mai che mi lamento: sarei un ingrato disonesto della peggiore specie. A volte sono costretto a regalare ai miei amici del carcere Regina Coeli valigie intere di cose nuove: anche questo è bellezza. D’altronde Lui l’aveva detto: “In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi.” (Matteo 19,27-30)
Il centuplo quaggiù e la Vita Eterna lassù: solo uno sprovveduto si sarebbe lasciato scappare un contratto simile.

Perché ti piace scrivere?
Scrivere mi offre la possibilità d’immaginare un nuovo modo di essere uomo, sacerdote e cittadino. Mi piace nascondermi nei miei personaggi, dar loro voce e colori, sentirli vibrare con un alfabeto inedito. Scrivere è far vivere nella carta ciò che mi riuscirebbe impossibile raccontare con la gestualità. Certamente è un talento che ho trovato. Adesso ho deciso d’accenderlo.

L’ultimo sbaglio che hai fatto?
Ne faccio troppi e fatico a ricordare l’ultimo perché è tutto un continuo ri-aggiornamento. Mi piace, però, pensare che da ogni sbaglio miglioro un pochino: non tanto, ma quel poco che mi basta per non disperare. Soffro le incomprensioni e le mie assurdità: prego perché Dio mi aiuti a diventare sempre più uomo.

Il demonio esiste?
Cavolo se esiste! Ogni mattina, appena mi alzo, mi sorride e mi dice: “Sei il prete più bello, più intelligente e più affascinante che io conosca”. Me lo dice in una maniera così dannatamente bastarda che ogni tanto ci credo davvero. Poi quell’Altro mi dà uno spintone e ricordo a Chi ho dato fiducia. E mi rimbocco le maniche.

Il regalo più bello che hai ricevuto.
Senza dubbio alcuno: mio fratello Sandro. Che triste sarebbe la mia vita senza di lui, così triste che non riuscirei nemmeno ad immaginarla. E’ nato quattro anni dopo di me, ma ricordo ancora la gioia di quel giorno che andai all’asilo gridando a squarciagola che era arrivato un fratellino. E’ a lui che devo tre quarti della mia smisurata fortuna. Gli voglio un bene gigante quanto lui.

La prima maratona, l’ultima maratona, il tuo sogno nella maratona.
La prima a Padova 2009 (3h02’56”), l’ultima a New York 2010 (2h48’58”), il sogno è di sfondare il muro delle 2h 35′. Mi sono dato cinque anni di tempo: a gennaio inizia il terzo. Siamo in orario.

Quanti chilometri fai in un anno di corsa?
Tra i 4.500 e i 5.000.

Appuntamento a?
Milano, 10 aprile 2011.

Suddividi la tua giornata.
S’apre alle sei del mattino e si chiude all’una di notte. Dentro ci stanno quattro ore di preghiera, due d’allenamento, due tra pranzo e riposo e undici di lavoro.

Destra o sinistra?
Non cado nel tranello. Però c’ho una coscienza e non ho mai tradito la scelta fatta a 18 anni. Perché la fiducia che ho dato è sempre stata contraccambiata: in politica c’è anche gente capace e intelligente. Anche se non fa rumore.

In politica: donna o uomo?
Ti ripeto che non cado nel tranello!

La frase che ultimamente ti ha fatto più ridere.
Di un giornalista amico. Giorni fa scrisse questa equazione: “Una manifestazione sta al successo come la sintassi sta a Di Pietro” (ride)

Uno sportivo su tutti.
Alex Schwazer. Lasciamene un altro: Alex Zanardi.

Una sportiva su tutte.
Tatiana Guderzo, una ragazza e una donna meravigliosa (bronzo a Pechino 2008 e campionessa del mondo di ciclismo su strada a Mendrisio 2009)

Una donna.
Mi piacerebbe dirtene una, ma poi viene tutto frainteso e succede il finimondo. Però c’è: ed è quella che da quasi mezza vita mi permette d’addormentarmi sapendo d’essere un ragazzo e un fratello dal cuore protetto e ordinato. Fugge la ribalta e ama il nascondimento come mio fratello Sandro: forse per quello hanno le chiavi del mio cuore.

La frase più bella che sentiresti ripetere all’infinito.
“Ti voglio bene, don Marco”: quand’è femminile e pulita, poi, è un concentrato esplosivo di bellezza. Un ordigno spettacolare per difendersi dalla solitudine.

Perché a qualcuno stai antipatico?
Charlie Chaplin diceva che il successo rende simpatici. A noi veneti è successo l’esatto contrario: l’emancipazione economica ci ha reso antipatici. In realtà non mi sono mai chiesto il perché e sinceramente non necessito di una risposta. Di sicuro so solo una cosa: non diventerò mai la persona più brava del mondo. Ma di sicura ne tengo anche un’altra: farò di tutto per diventare la migliore persona possibile.

Un grazie.
Troppo rischioso dimenticare qualcuno. Sono decine e decine ormai le persone che dedicano il loro tempo, il loro silenzio e la loro pazienza per dare concretezza al nostro sogno che parla di Dio a colori. Io nella messa della mattina prego per tutti loro: perché il Signore li ricompensi del bene che fanno.

Sei nel settimo anno del tuo sacerdozio. Il settimo anno è l’anno della grande crisi. Paura?
Lo immagino come il leggendario trentacinquesimo chilometro di una maratona: la linea di demarcazione tra la disperazione e l’orgoglio, tra l’epopea e la sconfitta. E’ un chilometro lungo come tutti gli altri. Ma non è solo un chilometro: è un tunnel, una sala operatoria, un esame di stato, un passaggio alpino di sesto grado, un pit stop delicatissimo. E’ lui a dire se ci sei, se ci fai o se tu morirai. In quei mille metri sta scritto il tuo destino. Se ne esci vivo, gli altri sei chilometri sono un’eccitazione in accelerazione perpetua. Se ne esci stremato saranno un lunghissimo punto di domanda. Se ne esci zoppicante saranno la riedizione aggiornata del Calvario raccontato in parrocchia.
Ci sono dentro e non so come ne uscirò. Vediamoci fra qualche mese.

Sei vergine?
No. Sagittario o capricorno, ma non mi ha mai interessato saperlo. Sono nato il 21 dicembre.

Stacci allo scherzo stavolta. Nel caso dovessi scegliere: bionda o mora?
(ride) Avessi dovuto scegliere, sarei andato in crisi: mi piace la bellezza qualunque colore essa tenga. Se poi alla bellezza c’aggiungi l’intelligenza allora è meglio che torni a correre.

Se un prete guarda una ragazza e dice che è bella fa peccato. Lo sapevi?
(scoppia a ridere). Davvero? Sono nel profondo dell’Inferno, allora. Come la mettiamo? A me ogni tanto scappa addirittura l’aggettivo bellissima. D’altronde San Tommaso d’Aquino diceva che una delle cinque vie per arrivare a Lui è quella di partire dalla creatura per arrivare al Creatore. Ovviamente è la via che mi affascina di più.

L’ultima cosa prima di andare a letto?
Il segno della croce. (che domande!)

La penultima?
Tre sms.

A chi?
Curioso.

Maiora premunt dicevano i latini. Fra quattro giorni questo prete stravagante scoprirà d’avere trentuno anni. Sopra er cupolone un gabbiano svolazza cantando. Sul comodino un bip segnala l’arrivo di un sms e compare un volto bellissimo. Uno dei tre che arrivano ogni sera.
C’è scritto: “Ti voglio bene, don Marco”. Impossibile non volergliene, davvero: perché ad un ragazzo così gli si perdona anche qualche uscita fuori dalle righe. D’altronde ai fuoriclasse genetici bisogna saperci parlare.
Buon compleanno, creative priest.

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