tulipanoT’ho poggiato un fiore sul davanzale, perchè non tengo e non trovo nulla di più ammiccante per farti gli auguri di buona festa. Oggi è il mondo intero a radunarsi per la festa della mamma: cioè la festa della tenerezza e della femminilità, dello stupore e dell’amore, del Dio che si serve di una donna per custodire la vita fino al suo ritorno. Di te, donna tra mille donne, impreziosita per il frutto della maternità. Che è l’equivalente di una storia d’amore, di un progetto a lunga scadenza, di un amore diviso per essere con-diviso. Sui sentieri sudati della vita essere madre è una scommessa che non annoia chi l’accetta: ma anche colui che a te s’abbevera. Perchè tra le tue rughe – che lo scorrere del tempo avvicina a quel legno d’olivo piantato nel giardino di casa – abita lo splendido spartito musicale dell’esistenza: la smorfia di dolore e la lacrima di commozione, un gesto d’approvazione e un silenzio di disgusto, lo sguardo investigativo e quello affettuoso. Il rimprovero, l’applauso, la preoccupazione, il timore, la paura, il sogno. Le maniche rimboccate, la caparbietà delle donne di montagna, le mani a perdersi nel bucato. Nessuna mamma è santa, eppure tutte le mamme hanno un qualcosa che le rende vicine a quella Bellezza colorata di cielo. Non fosse altro per quell’arte tutta al femminile di saper comporre in armonia voci, caratteri e passioni discordanti tra le mura di casa. Se, tramontato il sole, a casa s’intona una sinfonia è perchè qualcuna ha saputo far sì che ognuno trovasse la sua frequenza. Ragion per cui Edmondo de Amicis scrutava sua madre: e più la guardava più gli pareva bella. Fino a sognare di poter cambiare l’anagrafe per vedere ringiovanita la madre sua.
T’ho poggiato un fiore perchè il fiore è il simbolo della bellezza. E tutto nasce da lì: anche il tavolo sul quale ricami le pietanze è figlio della bellezza. Perchè il legno di cui è fatto nasce dall’albero, l’albero dal seme, il seme dal frutto, il frutto dal fiore. E il fiore è il simbolo della bellezza e dell’eleganza: l’eleganza di chi – seppur scoraggiata da famiglie che si doppiano, padri-sposi-amanti, figli abituatisi a rincorrere gli affetti – continua innamorata a sfidare imperterrita la sorte avversa. E ad aprire la finestra ogni nuovo mattino.
Dicono gli esperti che, sul punto di morire, dalla nostra mente scompaiono tutti: i figli, il marito, il padre, gli amici, i soldi. In quell’ultimo istante, forte delle ultime forze rimaste, il cervello mette a fuoco soltanto lei: la mamma. Non so se tutto questo sia vero. Però ricordo quel vecchio contadino, burbero per le traversie della vita, che morendo sussurrò: “mamma”. D’altronde, quando avvertiamo un pericolo improvviso, l’istinto ci fa gridare: “mamma mia!” Pure la pubblicità s’aggrappa alla figura della madre. Madri che sono in attesa con il loro commovente pancione, che puliscono i sederini, che spalmano cioccolata e formaggini, che scelgono prodotti genuini, che comperano carte igieniche morbide e tonni così teneri che si spezzano con un grissino, che lavano con gioie le magliette zozzissime del baby-calciatore, che stendono al sole lenzuola più bianche d’ogni altro lavandaio, che strofinano pavimenti fino a potersi specchiare, che seguono con occhi lucidi i figli che si sposano, che controllano se le nuore sanno cucinare la carne in scatola. Anche i cantanti, quando vogliono andare a colpo sicuro, compongono canzoni sulla mamma.
Troppi elogi non ripagheranno mai la faticosa arte d’essere donne, mamme e spose sotto lo stesso tetto e nel medesimo istante. Accetta un fiore: perchè anche la teologia più vertiginosa parla dell’Eterno e della sua arte d’amare partendo dal sorriso di una mamma. Che nasconde e anticipa il sorriso di Dio.

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