Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
ape

Come un fiore che spande il suo profumo per accogliere le api. O come profumo di pietanza pronto a spandersi per augurare buona mensa. Perchè il suo è un profumo che accarezza e ammalia, strega e ingarbuglia, impensierisce quando ti prende e ti conduce dentro il mistero di quell’Uomo che per mesi ha custodito nel suo ventre di donna. Cosicchè ogni festa che di Lei si colora può benissimo divenire l’occasione per augurare buona vita a tutte coloro che quaggiù sono nate donna. Perchè di Lei – Maria di Nazareth che oggi festeggiamo con il titolo di “Immacolata” – non s’è mai capito se la sua storia l’abbia partorita il tempo per poi lanciarla verso l’Infinito o se sia stato l’Infinito, perdutamente innamorato dell’uomo e del suo dolore, a donarla quaggiù per poi richiamarsela lassù a lavoro compiuto. Da qualsiasi prospettiva la si guardi, rimane il mistero di una donna profondamente madre. Come tutte le madri che sorreggono la storia del mondo e il destino della vita.
Una madre col figlio tra le braccia: perchè in qualsiasi caos un figlio viva, nessun punto è mai perduto per ritrovare il sorriso di una madre. Così nostalgiche dei loro pargoli che ti verrebbe fra pochi giorni da sostituirle delicatamente con quella Donna che nella grotta figura come Madre di un Bambino tanto atteso quanto complicato. Pallide come le madri che stringono le vite di figli che tornano a casa col le ferite nel cuore e nel fisico: eppure sono sempre loro figli, carne della loro carne e viscere delle loro viscere. Li hanno portati in grembo nove mesi, hanno offerto loro il seno, il loro latte è diventato il primo alimento per rinforzare in loro la prestanza degli uomini di domani. Proprio come quella lavandaia di Nazareth: così simile alle mamme e Lui così simile ad altri pargoli che forse pure a Lei sarà sfuggito talvolta ch’era Dio. E se lo sarà stretto tra le braccia cullandosi in un sogno: “come sei bello, bambino mio!” E magari, dopo qualche attimo di materna confidenza, avrà pensato interdetta: “lì c’è Dio, Maria!”. Solo ai poeti – e ai santi che del cielo sono i poeti – è stato concesso di dare voce a quel religioso silenzio di Donna per quel bambino che incuteva così timore. Un giorno ogni madre seguirà la Donna di Nazareth: pure loro s’arresteranno mute in fronte a quei frammenti ribelli della loro carne che sono i loro bambini, sentendosi forse in esilio di fronte a quella vita che è stata fatta con loro ma che ora è abitata da strani pensieri.
Anche quaggiù le madri piangono. Eppure mai nessun bambino è stato così crudelmente strappato alle mani di una donna come l’Eterno: c’è da crederci che anche là, sotto quella Croce che ha anticipato milioni di altre croci, Maria abbia pensato: “questo Dio è mio Figlio, carne della mia carne. Somiglia a me: ha i miei occhi, la forma della sua bocca è la forma della mia. Mi somiglia!” E’ comprensibile la gelosia delle donne di fronte a Maria: nessuna di loro ha mai avuto Dio tutto per loro, un Dio così bambino e fanciullesco da poter prendere tra le braccia e riempire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e ti risponde con un sorriso.
Fossi pittore mi piacerebbe cogliere Maria di Nazareth in uno di questi istanti intimi con il suo Dio Bambino. Perchè la sua storia nessuno la racconterà iniziando come in tutte le altre storie “c’era una volta”. Sarà impossibile farlo dal momento che la sua storia dai giorni di Betlemme ha iniziato a confondersi con la storia di tutte le donne-madri venute dopo di Lei. Dentro loro risuona l’eco della Madre di Betlemme, arricchita di volta in volta dai passi di coloro che nel nome di Lei troveranno il coraggio di imitare Dio regalando la vita.
E reggendo la sorte degli uomini con la dolcezza di uno sguardo di luce.

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