Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Qualcuno dà la colpa ai videogiochi violenti, qualcun altro all’assenza di valori, altri ancora all’inconsistenza degli educatori, a partire dalle figure genitoriali. In realtà, forse nessuna di queste risposte, da sola, riesce a dare una spiegazione esaustiva di fronte ad alcuni fenomeni adolescenziali di violenza inaudita e raccapricciante
Si parla di gruppi Whatsapp o altra messaggistica istantanea quale modalità per recapitare inviti a sfide gradualmente mortali, a cui talvolta i ragazzi cedono per paura del giudizio del gruppo, in caso contrario. Non intendo scendere in ulteriori dettagli, per non incorrere, a mia volta, nel rischio di incentivare malsane emulazioni, tuttavia è inevitabile soffermarsi in un’analisi.
Ci sono diverse prospettive che riguardano due comportamenti differenti ma che si sono – in un certo senso – fusi assieme, per via della capacità di diffusione (amplificata dai social network) delle gesta compiute.
Il primo comportamento è quello di sfida al rischio, in cui sono ascrivibili i “selfie estremi”, effettuati dai grattacieli o sfidando l’arrivo di un treno in corsa. Non sono altro che la variante social ed un po’ esibizionista, dei nostri giorni, delle sfide a chi frena per ultimo con la bici in curva o altre cose stupide, che, probabilmente, col senno di poi, nessuno adulto rifarebbe adesso. Ma a cui difficilmente ci siamo sottratti quando l’età era inferiore e l’incoscienza maggiore. Sì, proprio questa è la parola chiave: incoscienza. Una sorta di scissione tra se stessi e quello che ci accade: in una sorta di delirio d’onnipotenza, l’adolescente non pensa che la morte possa toccarlo da vicino. Non valuta in modo ponderato i rischi reali e si avventura, con il solo fine di ricercare una scarica d’adrenalina.
Il secondo comportamento, autolesionista, è rappresentato da una serie di atti, di cui si fanno carico anche alcune “catene perverse” che hanno previsto, tra le altre “disegnarsi” una balena su un braccio, incidendosi la pelle, o bruciarsi tramite ghiaccio e sale.
In entrambe le tipologie di atti c’è il perpetuarsi degli ancestrali riti tribali di “passaggio”, delle “prove di coraggio” che hanno caratterizzato l’adolescenza di tante generazioni. Il prevalere dell’istinto sulla ragione e la volontà di provare, a tutti i costi, esperienze nuove. Nel secondo tipo, però, vi si aggiunge una venatura profondamente diversa: un conto è sfidare i propri limiti per ottenere un risultare esterno a sé, altro è rivolgere della violenza su di sé. Accondiscendere ad un gesto simile, se da un lato è spesso spinto da dinamiche di gruppo (il non farlo escluderebbe dal gruppo dei pari), nutre anche quella depressione giovanile che colpisce, chi più chi meno, quasi tutti, in quel periodo intenso e denso di domande, quale è l’adolescenza.

È infatti noto come, a parte questi fenomeni estremi, registrano un aumento durante quest’età un po’ tutti i disturbi alimentari (come anoressia o bulimia), così come fenomeni veri e propri di autolesionismo. La domanda che si fa pressante e preponderante, ancora più della richiesta di un senso generale alla vita è, specialmente fra le ragazze, il dubbio sul proprio reale valore e sulla possibilità di trovare un posto nel mondo.
«Niente di nuovo sotto il sole» (Qoèlet 1, 9), verrebbe quasi da dire, sulle prime: l’adolescenza è il tempo della ricerca del Sé e della costruzione della propria identità, anche attraverso la sfida col limite, proprio ed altrui.
C’è tuttavia un aspetto un aspetto da non sottovalutare:  il ruolo dei social network. Sarebbe ipocrita e oltre modo incoerente, essendone io per prima utilizzatrice, demonizzarli. È indispensabile però constatarne la potenziale pericolosità e la necessaria prudenza nel loro utilizzo.
Oltre al rischio di abolire la propria privacy, esponendosi per essere alla mercé di chiunque, l’altro rischio insito nei social network è l’immediatezza: ciò che in passato richiedeva enormi lassi di tempo per provocare danni, oggi avviene in un lampo. L’emulazione o la rovina della reputazione tramite il fango della calunnia sono diventati di una semplicità e rapidità impressionanti.
Probabilmente, non esiste bacchetta magica che possa risolvere questa situazione. Tuttavia, la consapevolezza, per ogni educatore, a partire senz’altro dai genitori stessi, dev’essere che l’adolescenza è, per definizione, “età a rischio”, che esige attenzione e cura particolari: se i neonati necessitano di essere costantemente seguiti perché incapaci d’agire, gli adolescenti richiedono di essere guardati con cura perché siano capaci di diventare autonomi e responsabili.
Innanzitutto, fondamentale è l’ascolto, vero e profondo, e la capacità di mettersi in gioco integralmente. Ricordo, ad esempio, il sollievo impagabile, di vedere condiviso, con un adulto che stimavo, una “cattiva abitudine” (nel mio caso, era la capacità di estraniarsi da ogni necessità domestica, se concentrata su altro). A volte, ammettere, con candore, le proprie pecche di gioventù, piuttosto che diventare emulazione negativa, è al contrario stimolo positivo in una “lotta” che si avverte come comune. Ammettere di poter sbagliare, di fronte ad un adolescente, lo fa sentire meno solo ed impotente di fronte alla complessità della vita che, anche se difficilmente sarà capace di confessarlo, lo spaventa enormemente e lo fa sentire inadeguato.
La libertà è il rischio più bello da correre, che permea la nostra intera vita, a cui i ragazzi vanno accompagnati, nel difficile percorso che comporta il loro crescere con essa, affinché possano sperimentarla non più nel giocare con la morte, ma nell’amore per la vita!


Per un approfondimento:
AdoleScienza
AgenPress

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