Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Pestano a sangue ma poi fuggono. Scappano dalla città che li ha visti tristi registi di un’opera drammatica verso una terra in cui vivere da anonimi. Ma, vista l’impossibile follia di soffocare un dramma mortale, si costituiscono. Il massacro di Verona – ultimo in ordine di tempo – è l’ennesimo graffio ad una società che ci tiene a definirsi civile. Ad un’umanità che sul concetto di “diverso” ha firmato pagine di crudele terrore. Al di là delle indagini, persiste un interrogativo: “Com’è possibile?”  Si dirà che sono bestie: questo ci aiuta a lavarci la coscienza, ma non a scoprire le stonature. S’invocherà l’ergastolo: difenderemo la sicurezza nostra, ma ci sfuggiranno pause rimaste incomprese. Non sono certo il simbolo della gioventù. Ma nemmeno più un caso isolato. Troppi casi isolati aprono una questione generale. Forse si mostra necessaria una riflessione che aiuti a difendere Abele cercando di recuperare Caino.
Il Creatore si preoccupò pure di lui.
Strane interferenze mi rendono sempre più convinto che alla base di tali nefandezze abiti una buona dose di “sbandata stupidità”. La quotidianità si sta appiattendo vergognosamente. E se un ragazzo si convince che il quotidiano della gente (il cui modello va a ruba nell’informazione) è l’unica aspirazione alla quale poter tendere, il danno è presto fatto: le idee più creative e feconde, l’originalità e la passione, il gusto della fatica e la sorpresa di una conquista andranno sempre più scemando. Impedendo di lasciare aperta una fessura verso l’alto. In teologia la chiamano “trascendenza”. Noi potremmo semplificarla chiamandola “affetto per la bellezza della vita”. Toppata  questa fessura, il dinamismo e la vivacità creativa della giovinezza si bloccano. La capacità di riflessione si indebolisce. Il gusto del vivere si anestetizza. Ma quello che più impaurisce è il drastico impoverimento del pensiero: non si cerca più la riflessione. Ci s’innamora della superficialità. Anch’io sono convinto che non avessero intenzione di uccidere quei ragazzi. Perché, nell’atto omicida, avevano già compiuto il primo omicidio: non hanno voluto capire chi sono. L’hanno rifiutato, su invito della maggioranza, e si sono limitati ad essere uno del branco. Hanno scelto di non scegliere. Hanno acconsentito alle decisioni della massa: son diventati conformisti.
Dal mio “osservatorio” di sacerdote – che condivide con loro la faticosa bellezza d’essere giovane – m’accorgo sempre più che il problema prioritario oggi non è l’indifferenza verso Dio. Ma la non-curanza verso gli interrogativi ultimi della vita. Da giovani è facile – anche se non è scusante – scambiare lo star bene con l’autentico vivere: ma questo non può durare un’esistenza intera. L’interiorità e l’affettività, a lungo andare, s’impoveriscono, s’inaridiscono, perdono prestanza. E, senz’accorgerci, diamo il cervello “in comodato d’uso” alla noia. Ma la noia è il disinteresse totale, una morte a rate.
Stordisce alla vita. E la si ammazza!
Non credo che quegli omicidi rifiutino la vita: semplicemente si sono dis-affezionati a lei. Non è un problema di intelletto, ma di cuore.
Che si risolve innamorandosi:di noi. Della vita. Del diverso!

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