Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Pettirosso

Rimane il punto dei Vangeli in cui tutto collassa, fino a stordire i sensi, fino allo svenimento delle carni: non ci potrà essere gioia laddove non c’è esagerazione. Come non germoglierà la gioia nella terra dove manca la libertà. Anche Dio – il Dio folle e bambino di Abramo, Isacco e Giacobbe – non si sottrae a questo esagerare per poter amare appieno. Fu confidato a Nicodemo, l’uomo che di notte s’inventò discepolo per andare ad incontrare Cristo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chi crede in lui non vada perduto»(liturgia della IV^ domenica di Quaresima). Non bastava l’amore: serviva il tanto amore. Il di più, l’osare un passo oltre, l’ingigantire ciò che già prima c’era: la gelosia, l’afflato, la premura. Quel portare a spasso Israele giovincello su ali d’aquila, in carrozze di prima classe. Quello fu amore e diletto, passione e intrigo: questo è tanto amare. E’ il Figlio stesso, l’Unico: mandato perché il mondo si salvi. L’inaudito dei Vangeli.
Il brogliaccio della Scrittura Sacra è tutto qui: un canovaccio nel quale l’Amore sgomita con l’incredulità, Cristo con Lucifero, la bellezza con l’inganno. Sempre così. Lui, il Lucifero degli inganni, sempre il solito: “Guardalo bene quell’Uomo. Mica sarà affidabile uno così! Non dirmi che sei così stupido da credergli? Metti in ordine il mondo da solo: che ti serve la stampella di Cristo?”. E l’Altro, sempre di petto e di cuore: “Tu li confondi? Bene: io li porto sul monte e li faccio rabbrividire nel vedere quanto sono bello. Affidabile e fedele. Mostrerò loro chi tu sei: il principe dei farabutti, l’oscenità, l’inganno. Il santo patrono dei gradassi”. Uno mente che è un piacere, l’Altro ama che sembra follia, certuni giorni addirittura sembra affetto da ingenuità e mancanza di buon senso. Nulla di più ardito, invece: quell’amare – verbo del cuore, degli affetti e delle cose più intime – diventa dare: il verbo della manualità, delle cose da fare e disfare, verbo di manovre e di pensieri che si fanno storia e consolazione. Eccolo il Dio della Scrittura, quello che nessuno poteva immaginare così vicino e prossimo all’umano: ama al punto da dare, ama fino al punto massimo dell’amore, ama fino a perdersi tra le tenebre di una Croce e mostrare le vette vertiginose alle quali giunge chi nel cuore ama per davvero. E non per gioco.
Non c’è traccia di giudizio – «Non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo si salvato per mezzo di Lui» -, c’è tutta la premura della pietà: “Tu sbagli e io ti amo. Tu t’allontani e io t’inseguo: non voglio perderti. Tu mi tradisci e io m’impunto ad amarti oltremisura: per farti tornare, per sedurti il cuore, per nascondere qualsiasi traccia d’inganno”. E’ tanto, fin quasi troppo, forse immeritato: «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce». Poco importa: il Cielo non molla la preda, ne ordisce gli agguati, ne spia le mosse e organizza gli appostamenti. Dentro quell’amore c’è spazio per chi rimane, per chi si perde, per chi perduto decide nel suo cuore di tornare a casa. Per far udire l’eco di una parola che da millenni allaga e dilaga tra le vie dell’umano: “Tu sei prezioso ai miei occhi”. Eccome: la tua storia è dentro una storia più grande, il Dio dei tuoi padri è lo stesso Dio che ti ha pensato, che ti ha creato, che eternamente ti ama e ti cerca. Non sei solo quaggiù. Sei grosso, potrai diventare anche grande.

Da qui comprendiamo che cosa significhi la richiesta della santificazione del nome di Dio. Ora del nome di Dio si può abusare e così insudiciare Dio stesso. Possiamo impadronirci del nome di Dio per i nostri scopi e deturpare così la sua immagine. Quanto più Egli si consegna nelle nostre mani, tanto più noi possiamo oscurare la sua luce; quanto più Egli è vicino, tanto più il nostro abuso può renderlo irriconoscibile. Martin Buber ha detto una volta che con tutto l’infame abuso fatto del nome di Dio potremmo perdere il coraggio di pronunciarlo. Ma tacerlo sarebbe ancor più un rifiuto del suo amore che ci viene incontro. Buber dice che solo con profondo rispetto potremmo raccogliere di nuovo i frammenti del nome imbrattato e cercare di purificarli. Ma da soli non ne siamo affatto capaci. Possiamo soltanto implorare Dio stesso che non lasci annientare la luce del suo nome in questo modo.
(J. Ratzinger, Gesù di Nazareth)

Lo maltratteranno quest’Amore: decideranno, da uomini farsa, che quell’amare dovrà finire crocifisso. L’umano, dai tempi di Adamo, è sempre rimasto lo stesso: smarrisce il senno con chi gli imbonisce il cuore e lo maltratta, decreta ingenuo e bambino chi lo ama ad oltranza. Poco importa a chi dell’Uomo conosce passi e passaggi: dentro quel tanto nessuna misura opposta potrà mai prendere il sopravvento. Nemmeno sul punto dell’apparente collasso, nemmeno nel Venerdì del Golgota. Tutt’altro: lassù, a fari spenti e frecce appuntite, all’uomo sarà concesso il lusso di scoprire fino a qual punto si spinge l’amore di chi ama per davvero. Di chi, perfetto amante, scelse di esagerare per tendere un agguato ai cuori perduti. E sedurli con tocchi e rintocchi d’amore.

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