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Della misericordia ha fatto il tratto inconfondibile del suo pontificato, fino quasi a fondersi con la sua stessa persona. Per Francesco, il Papa che parla di Dio come di una “sorpresa”, essa è un luogo teologico e uno spazio dell’anima: la risposta della grazia ai contraccolpi della disgrazia, lo sguardo di Cristo che acceca l’esistenza. E’ l’immagine stessa del Dio da lui cantato: il Dio delle storie scartate, delle strade slabbrate, dei sentieri interrotti. L’Emmanuele, il “Dio con noi”. E’ diventata una delle litanie più proclamate del suo pontificato: la miseria ha la grande occasione d’affacciarsi sulla misericordia. Il popolo dei poveri e dei perdenti, popolo dal palato fine e dai gusti contorti, l’ha afferrata al volo questa scialuppa. E, salendoci, ha imparato a fare i conti con questo Dio che «nelle crepe sta in agguato» (Borges). Il Dio cristiano, per l’appunto: quello mai stanco di perdonare, quello che «più il peccato è grande, più Dio freme per incontrare il peccatore», il Dio di Matteo e della Maddalena. Alla scuola di Francesco i falliti ci vanno, come pure i delusi: per apprendere una misericordia che non profuma di tortura e per allenarsi alla misericordia verso se stessi e le loro vite rocambolesche. Varcare la porta di un confessionale non è più d’imbarazzo, tanto meno sa di vergogna: sta diventando una delle più belle tra le occasioni possibili. E’ prendere sul serio l’invito di Francesco che, come uno scalpellino, lavora per sottrazione, senza sconto alcuno: depenna il superfluo per far sbocciare l’essenziale. Lima la miseria per liberare la verità dell’umano: tra le migliori in circolazione, non c’è visione più bella di vedere un’anima rialzarsi. Di sapere che certe cicatrici sono memoria di ferite che sono state guarite.
E’ un grande spettacolo la misericordia: per chi la riceve e per chi la esercita. Calarsi nell’inferno del peccato – terra di menzogna, di sorprese e di nebbie d’autunno – con la lanterna della misericordia, è assistere al più consolante dei conforti: c’è un Dio che va alla dannata ricerca del perduto, del dimesso, del frammento. Lui li cerca, loro Lo adocchiano: sovente si abbracciano. Quell’assoluzione, che in nome di Dio cala come olio profumato sulle ferite della gente di guerra, è il gaudio di toccare con mano ciò che il Papa annuncia con tutti i sensi: l’impossibile dell’uomo è il possibile di Dio. Di quel Dio il cui primo pensiero, sin dall’eternità, rimane l’uomo stesso: Dio pensa l’uomo, a null’altro che a lui va pensando. Per quell’uomo, poi, è disposto addirittura a fare follie, a fingersi come il più smemorato degli amanti. Chi frequenta l’inferno sa che la bellezza non è ovvia: quando appare, però, t’ammalia per intensità. Così è della misericordia per chi l’esercita: il suo tocco sorprende, la sua forza stordisce, la sua bellezza strega. Esercitandola, scopri tu stesso la voglia d’esserne fruitore: d’inginocchiarti, di chiedere scusa, d’amare il tuo umano ferito e disgustoso. E’ la misericordia ai tempi di Francesco, dalle parti della periferia: laddove il perduto è annuncio e consolazione. Una quasi profezia: «Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rm 5,20).
La sovrabbondanza: un Giubileo straordinario, un Anno Santo della Misericordia perchè «più è grande il peccato e maggiore dev’essere l’amore che la Chiesa esprime verso coloro che si convertono». L’ultima follia d’amore di un Papa venuto da lontano per narrare di un Dio vicino, così intimo da farsi quasi impercettibile, delicato. Quel Dio che rimette in questione gli ultimi rifugi di privatezza della nostra esistenza. Una misericordia dilagante: l’indiscrezione del Cielo certi giorni è totale. Fin quasi imbarazzante: sapersi perduti e, proprio per questo, sentirsi nel mirino di Dio è roba da giganti. E’ possibilità per tutti.

(da Il Mattino di Padova, 15 marzo 2015)

 

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